La «tunica» e la «rete» che non si spezzano

la-crocifissione-parte-centrale-della-predella-1457-1405-di-andrea-mantegna-1431-1506-soldati-giocare-dice-gesu-tunica-ffkb9pdi Stefano Tarocchi La narrazione pasquale del quarto vangelo presenta, fra gli altri, due vertici di particolare rilievo. Si tratta di due momenti, legati rispettivamente alla crocifissione di Gesù e alla sua manifestazione ai discepoli sul mare di Tiberiade.

Qui il Vangelo usa il salmo 22, il salmo che inizia con le parole dell’invocazione presente sulle labbra di Gesù nei soli Vangeli di Marco e di Matteo (non in quello di Luca!): «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Lontane dalla mia salvezza le parole del mio grido!».

Dal medesimo salmo, citando letteralmente la sua versione greca, tratta dai Settanta, il quarto evangelista getta il suo sguardo alla veste «senza cuciture», e quindi «tessuta tutta in un pezzo dalla cima» per definirne il suo destino inatteso: questa tunica è assegnata al soldato che la riceverà in sorte. Allo stesso tempo sembra sottintendere la preghiera di Gesù sulla croce.

Torniamo però alla veste (“chitôn”). Infatti, per una ragione che non appare evidente ad un primo sguardo, questo indumento è esclusa dal bottino delle spoglie del condannato a morte che i suoi carnefici si autoassegnano: «presero le sue vesti, ne fecero quattro parti – una per ciascun soldato» (Gv 19,23). Viene in mente Giobbe: «Nudo uscii dal grembo di mia madre, e nudo vi ritornerò. Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore!» (Gb 1,21).

Il verbo qui usato dall’evangelista è grandemente significativo. Per limitarci al solo Giovanni, lo si trova solo nel secondo episodio che vedremo più avanti.

Da questo verbo deriva un termine non meno eloquente, “schisma”, usato nel quarto Vangelo in tre circostanze.

pescatori

Infine, nella terza scena, leggiamo: «il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio». Sorse di nuovo dissenso (“schisma”) tra i Giudei per queste parole» (Gv 10,17-19).

La prima generazione cristiana ha reso questo linguaggio quello della divisione, o scissione – scisma appunto – all’interno della comunità dei credenti.

Qui si apre il riferimento al secondo momento, quello della pesca ottenuta dopo una notte insonne dei discepoli al tempo della manifestazione di Gesù risorto in Galilea: «Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete» (Gv 21,5-6).

Ora, appare evidente, anche in contrasto con l’analogo episodio della pesca del vangelo di Luca, sempre dall’evidente tenore pasquale – che l’evangelista “trasporta” alla sezione dove racconta la chiamata dei primi discepoli: «presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano» (Lc 5,6). Ma il verbo usato non sembra avere la stessa intensità delle parole usate dal quarto vangelo.

Non sono le risorse dei discepoli ad essere decisive: non sono loro a creare l’unità, ma il loro Signore la cui veste rimane intatta anche dopo che gli è stata sottratta. Anche se sarà preda del soldato che la ottiene in sorte – ultima preda strappata alla vittima inerme – mette in primo piano la tunica come simbolo di qualcosa che nessuna forza umana potrà lacerare. Al pari della rete, che contiene l’universo delle creature, nessuna forza umana potrà dividere ciò che è stato creato come unito.

Il Signore che attende la gloria che gli viene dalla passione – il massimo dei paradossi –, e, innalzato sulla croce, attira tutti a sé (cf. Gv 12,32), una volta risorto diventa forza di unità che sconfigge tutte le lacerazioni e le divisioni, gli odî e le violenze, le guerre e le distruzioni