Bergoglio, Ratzinger, Montini ed il collasso morale del Sessantotto

627 417 Antonio Lovascio
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defaultimagedi Antonio Lovascio • Il sorriso e la serenità interiore sono sempre le prove di una perfetta armonia. Dopo le rassicurazioni da Oltretevere, ci voleva la foto dell’incontro dei doppi auguri (per la Pasqua ed il novantaduesimo compleanno) di Francesco a Benedetto XVI per mettere a tacere le polemiche – a onor del vero quasi tutte di origine mediatica, con i Social scatenati – seguite alla pubblicazione sul mensile tedesco Klerusblatt degli appunti con i quali Ratzinger aveva inteso offrire un suo contributo di idee contro la piaga degli abusi sui minori compiuti da ecclesiastici; dopo aver per correttezza informato il segretario di Stato, card. Pietro Parolin e lo stesso Bergoglio.

Lo scritto aveva indotto alcuni commentatori ad ipotizzare addirittura un incrinarsi dei rapporti fin qui fraterni tra Papa Francesco e il suo predecessore. Evidentemente non è così. E l’affettuoso incontro conferma, se pure ce ne fosse stato bisogno, che non è possibile utilizzare strumentalmente l’articolo del Papa emerito per contrapporre il pensiero di quest’ultimo all’azione pastorale di Bergoglio, prefigurando addirittura – come ha fatto qualche editorialista di rango – una sorta di “resa dei conti” tra due fazioni (il “cerchio magico di Santa Marta” e i nostalgici irriducibili del Pontefice emerito) che metterebbe in crisi l’equilibrio nella Chiesa. Niente di tutto questo. Condividiamo l’analisi dell’arcivescovo-teologo Bruno Forte: sicuramente l’intervento di Benedetto XVI è stato chiaro e coraggioso, per come ha preso posizione sulla crisi degli abusi nella Chiesa, emersa in maniera drammatica anche grazie alla determinazione sua e del suo successore, Papa Francesco, nell’affrontarla.

Da uomo di fede e di pensiero qual è, protagonista e testimone egli stesso delle vicende culturali del “secolo breve”, il Novecento, e degli sviluppi della cosiddetta postmodernità, Joseph Ratzinger va alle radici dei procedimenti che hanno determinato una ferita così traumatica: con tratti brevi e al tempo stesso magistrali delinea il contesto della questione, in mancanza del quale il problema risulta incomprensibile, mostrando come la crisi affondi le sue radici negli anni ’60, e precisamente in quel processo per cui nel ventennio 1960-1980 «i criteri validi sino a quel momento in tema di sessualità sono venuti meno completamente e ne è risultata un’assenza di norme alla quale nel frattempo ci si è sforzati di rimediare».

Il fatto che il “collasso morale e spirituale” venga fatto risalire al ’68, ha spinto qualcuno ad ipotizzare perfino un attacco alla figura ed al Magistero di Paolo VI, spesso citato da Papa Francesco. Tesi smentita dalla più recente Storia della Chiesa e dei suoi primattori. Chi l’azzarda, ignora il profilo, il percorso ecclesiale dell’Emerito. Ratzinger è una “creatura” montiniana. Indicato sì come “perito ufficiale” del Concilio Vaticano II nel novembre 1962 da Giovanni XXIII, ma insieme a Karol Wojtyla (già vescovo dal 1958) tra i riformatori più convinti di un nuovo rapporto con il mondo contemporaneo nelle Commissioni ereditate ma pure integrate dal Pontefice bresciano sulla scorta di alcuni rilievi del clero e dei Pastori del Nord Europa al metodo di scelta degli esperti da parte della Curia romana. Che Montini lo stimasse come studioso e come prete lo dimostra il fatto che lo ha voluto, giovanissimo, arcivescovo di una delle sedi più prestigiose della cattolicità germanica, Monaco di Baviera, e poi elevato alla porpora nel giugno del 1977 con il card. Benelli appena designato arcivescovo di Firenze. Il Magistero di Papa Benedetto si è sviluppato nel segno della continuità con i suoi predecessori, sempre preoccupandosi che nella collegialità la Chiesa attuasse realmente i documenti conciliari, da lui riconosciuti come atti che “sono ancora oggi una bussola sicura per la Chiesa”.

Il Concilio Vaticano II ha segnato la strada “riformatrice” e Paolo VI – il giudizio è stato storicizzato da intellettuali del calibro di Agostino Giovagnoli e Carlo Cardia – ha saputo leggere come pochi i tempi, anche se alcuni fratelli nella fede abbracciarono una contestazione che ebbe effetti di secolarizzazione.

A seguire la cronologia, la Chiesa cattolica, con la sua “rivoluzione dello spirito”, ha preceduto il ’68 rispetto a ogni istituzione. Però, paradosso dei paradossi, proprio Paolo VI è stato uno dei bersagli preferiti da molti sessantottini laici e cattolici. E ciò è avvenuto quando il Sessantotto ha divorziato dalla voglia di cambiare il mondo, e ha preso sfumature di fondamentalismo.PaoloVI3

Montini, Papa lucido e profetico, è tra i protagonisti che hanno valutato nei suoi sviluppi il movimento dispiegatosi fino al 1978, collegando esplicitamente le riforme della Chiesa al rinnovamento della società. A questo mirava Il cuore del programma paolino, oltre che a cambiare le strutture di governo curiale dopo cinque secoli di sostanziale stabilità. Anche per questi meriti è stato fatto Santo. E non può certo essere evocato come capro espiatorio dell’inventato contrasto tra i “due Papi”. D’accordo più che mai sulle origini e sui rimedi di alcuni scandali che hanno toccato la Chiesa, “bisognosa di perdono e di aiuto dall’Alto”. Terapie ricordate in un editoriale sull’Osservatore Romano dal Direttore editoriale del Dipartimento dell Comunicazione Vaticana, Andrea Tornielli: <Francesco suggerisce una via penitenziale, lontanissima da qualsiasi trionfalismo, come ha ribadito nell’omelia della Domenica delle Palme, e dall’immagine di una Chiesa forte e protagonista, che cerca di nascondere le sue debolezze e il suo peccato. La stessa proposta dal suo predecessore>.

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Antonio Lovascio

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