«Amate il Papa». Ricordanze di una visita di San Paolo VI ad Anagni

211 299 Andrea Drigani
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ferentino-visita-paolo-vi-1-settemnre-1966di Andrea Drigani Qualcuno ha osservato che la coesistenza tra il Papa regnante e un Papa emerito potrebbe aver suscitato, sia pur indirettamente, delle questioni all’interno della Chiesa, con l’insorgenza di sterili polemiche, delle quali peraltro non è del tutto chiaro quali siano i promotori, che tuttavia rischierebbero di provocare una qualche difficoltà all’esercizio dei ministero petrino. In effetti siamo in presenza di un contesto che nella storia della Chiesa ha un solo precedente: quello di Celestino V e di Bonifacio VIII, risalente cioè al periodo che va dal 1294 al 1296. Anagni, Ferentino, il castello di Fumone, sono i luoghi che nella nostra memoria ci riportano a quelle vicende, già allora ritenute inedite e difficoltose. Sempre dalla memoria traggo il ricordo della visita, compiuta proprio in quei posti, da San Paolo VI il 1 settembre 1966. Nella Cattedrale di Anagni Papa Montini insistette sul concetto fondamentale di quella visita e della indimenticabile giornata: la continuità della Chiesa, nella sua storia, nei suoi insegnamenti, della sua missione quaggiù. Paolo VI si soffermò sull’ininterrotto collegamento degli avvenimenti della Chiesa, che sembrano vincere le distanze del tempo, e sulla necessità che i cristiani si facciano sempre guidare dalla sapienza e dall’amore della Chiesa madre. Fece presente, poi, di essere stato ad onorare la memoria di Celestino V nel castello di Fumone, la cui figura, come Pontefice, richiama alle origini della Chiesa, all’investitura data da Nostro Signore a San Pietro e ai suoi successori: dobbiamo meditare, aggiunse, su questa continuità apostolica, che supera vicissitudini le quali sembrano le meno propizie e si perpetua fino a noi e nei secoli avvenire perché c’è una presenza divina nella Chiesa: «Io sarò con voi fino alla fine dei secoli». San Celestino V, proseguì San Paolo VI, dopo pochi mesi dall’elezione comprese di essere stato ingannato da quelli che lo circondavano, che profittavano della sua inesperienza per strappargli benefici. Ed ecco rifulgere la santità sulle manchevolezze umane: il Papa, come per dovere aveva accettato il Pontificato Romano, così, per dovere, vi rinuncia; non per viltà, come Dante disse – se le sue parole si riferiscono veramente a Celestino – ma per eroismo di virtù, per sentimento di dovere. E morì segregato, perchè altri non potesse profittare ancora della sua semplicità e della sua umiltà, e la morte non fu per lui la fine, ma il principio della gloria, oltre che nel paradiso, anche sulla terra. Ma non si può rievocare la memoria di San Celestino V, disse ancora Papa Montini, senza rammentare anche quella del suo successore Bonifacio VIII che fu tanto diverso da lui, formidabile nella sua azione per la Chiesa e che ha dato con la sua presenza e la sua opera celebrità immortale alla città di Anagni. Nessuno ebbe, forse, più di lui tanti nemici, nessuno come lui, fu tanto bersagliato, calunniato e perfino oltraggiato. Perché? – si chiese Paolo VI – Perché al di là della sua personalità, della sua politica, del suo carattere, egli è stato il Papa che più degli altri ha affermato l’Autorità del Romano Pontefice, la continuità che ad esso deriva dall’aver ereditato il potere che Cristo aveva dato a Pietro e in Pietro a tutti i successori. Egli svolse il suo mandato apostolico con forme di autentica luce. Bonifacio VIII – annotava Papa Montini – ha fatto quello che oggi si vorrebbe fare senza forse riuscirci: quello che si chiama «la scala dei valori». Bonifacio VIII ha avuto l’intrepida forza di affermare la formula della più piena e solenne autorità pontificia, il concetto – che fu, poi, dagli altri Papi meglio definito – dell’esistenza dei due poteri, uno spirituale, l’altro temporale, entrambi sovrani nel loro ordine, salvo che nella loro applicazione nella vita umana: i valori dello spirito devono condizionare gli altri valori umani. La lezione di Bonifacio VIII – affermò San Paolo VI – è il senso dell’appartenenza alla Chiesa, la comprensione degli obblighi di lealtà alla gerarchia per ogni cattolico, dal momento che appartiene ad una società organizzata. Perciò alla gerarchia dobbiamo obbedienza, una obbedienza capita, professata, meditata, non come schiavi o vinti, ma come figli che la reclamano, l’amano, la servono. Posso domandarvi – esclamò, a questo punto, San Paolo VI, suscitando come risposta un fervido e prolungatissimo applauso – la grazia che voi non vi rifiutate di amare il Papa? «Amate il Papa», al quale senza suo merito o ricerca è affidata la singolare missione di rappresentare il Signore davanti alla Chiesa universale e che non ha altra aspirazione se non quella di salvare, di farvi felici, perché la sua autorità è un servizio: il servizio del Servo dei servi di Dio.

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