Mons. Tonino Bello e «la chiesa del grembiule»

356 500 Stefano Liccioli
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DonTonino-grandedi Stefano Liccioli • Con la visita pastorale che Papa Francesco ha fatto in Puglia in occasione del venticinquesimo anniversario della scomparsa di Mons. Tonino Bello che è stato Vescovo delle diocesi di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi, il Santo Padre prosegue il suo percorso tra i sacerdoti che, a loro modo, hanno abitato le diverse periferie dell’esistenza, pastori con l’odore delle pecore così come il Santo Padre chiede di essere ai suoi sacerdoti. Dopo don Primo Mazzolari e don Milani lo scorso anno, Padre Pio lo scorso marzo, il 20 aprile Papa Francesco ha reso omaggio a Mons. Tonino Bello.

Nato nel 1935 ad Alessano, in provincia di Lecce, don Tonino (come preferiva farsi chiamare dalla gente) è stato ordinato sacerdote nel 1957. Ha ricoperto l’incarico di vicerettore del seminario di Ugento, assistente dell’Azione Cattolica e quindi vicario episcopale per la pastorale diocesana. Già parroco, nel 1982 è stato ordinato vescovo. Un ministero, quello episcopale, che eserciterà fino al 1993, anno della sua morte avvenuta a causa di un tumore. Nel tratteggiarne la figura Papa Francesco ha detto: «Capire i poveri era per lui vera ricchezza, era anche capire la sua mamma, capire i poveri era la sua ricchezza. Aveva ragione, perché i poveri sono realmente ricchezza della Chiesa. Ricordacelo ancora, don Tonino, di fronte alla tentazione ricorrente di accodarci dietro ai potenti di turno, di ricercare privilegi, di adagiarci in una vita comoda. […] Una Chiesa che ha a cuore i poveri rimane sempre sintonizzata sul canale di Dio, non perde mai la frequenza del Vangelo e sente di dover tornare all’essenziale per professare con coerenza che il Signore è l’unico vero bene». Questa vicinanza ai poveri Mons. Bello non la viveva in maniera teorica, ma si faceva realmente loro prossimo, coinvolgendosi in prima persona, preferendo il potere dei segni al potere dei segni. «Non lo disturbavano le richieste, lo feriva l’indifferenza. Non temeva la mancanza di denaro, ma si preoccupava per l’incertezza del lavoro, problema oggi ancora tanto attuale. Non perdeva occasione per affermare che al primo posto sta il lavoratore con la sua dignità, non il profitto con la sua avidità».

Nel definire il ritratto di don Tonino il Papa ha sottolineato il suo desiderio di vedere una Chiesa che sappia indossare il grembiule, i panni cioé del servizio, la sua attenzione ad unire la contemplazione all’azione, ad essere cioé “contemplattivi”, il suo amore per il mondo a cui non devono essere sempre «opposti i rigori della legge se non sono stati prima temperati con dosi di tenerezza».

Di Mons. Bello è stato ricordato anche il suo impegno per la pace sia come presidente di Pax Christi sia come prete e vescovo, ma soprattutto come cristiano. «Non stava con le mani in mano: agiva localmente per seminare pace globalmente, nella convinzione che il miglior modo per prevenire la violenza e ogni genere di guerre è prendersi cura dei bisognosi e promuovere la giustizia. […] Infatti, se la guerra genera povertà, anche la povertà genera guerra. La pace, perciò, si costruisce a cominciare dalle case, dalle strade, dalle botteghe, là dove artigianalmente si plasma la comunione». Un concetto, questo, che il Santo Padre ha ribadito anche durante la Messa celebrata a Molfetta:«Don Tonino sosteneva che “la pace non viene quando uno si prende solo il suo pane e va a mangiarselo per conto suo. […] La pace è qualche cosa di più: è convivialità”. È “mangiare il pane insieme con gli altri, senza separarsi, mettersi a tavola tra persone diverse”, dove “l’altro è un volto da scoprire, da contemplare, da accarezzare”. Perché i conflitti e tutte le guerre “trovano la loro radice nella dissolvenza dei volti”. E noi, che condividiamo questo Pane di unità e di pace, siamo chiamati ad amare ogni volto, a ricucire ogni strappo; ad essere, sempre e dovunque, costruttori di pace».

Di don Tonino voglio ricordare un’affermazione che egli fece in un dibattito con il giornalista Mario Cervi durante una trasmissione televisiva. Il prelato disse che i vescovi hanno il diritto-dovere di parlare di pace e giustizia perchè sono problemi vitali su cui si gioca il destino dell’uomo, altrimenti il rischio è che si limitino a parlare del colore dei paramenti o del numero dei ceri sull’altare. Ecco, credo che la risposta di Mons. Bello sia valida per tutte le volte che si vuole strumentalizzare la Chiesa o relegarla in sacrestia perché il messaggio di pace, amore e giustizia che Gesù le ha affidato è ancora oggi (e deve esserlo) una pietra d’inciampo.

Ha concluso così Papa Francesco il suo discorso:«Cari fratelli e sorelle, in ogni epoca il Signore mette sul cammino della Chiesa dei testimoni che incarnano il buon annuncio di Pasqua, profeti di speranza per l’avvenire di tutti. Dalla vostra terra Dio ne ha fatto sorgere uno, come dono e profezia per i nostri tempi. E Dio desidera che il suo dono sia accolto, che la sua profezia sia attuata. Non accontentiamoci di annotare bei ricordi, non lasciamoci imbrigliare da nostalgie passate e neanche da chiacchiere oziose del presente o da paure per il futuro. Imitiamo don Tonino, lasciamoci trasportare dal suo giovane ardore cristiano, sentiamo il suo invito pressante a vivere il Vangelo senza sconti. È un invito forte rivolto a ciascuno di noi e a noi come Chiesa. Davvero ci aiuterà a spandere oggi la fragrante gioia del Vangelo».

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Stefano Liccioli

Tutte le storie di: Stefano Liccioli