In memoria di Sant’Ivo Hélori. Un avvocato ecclesiastico
di Andrea Drigani • Il calendario liturgico della Chiesa Cattolica al giorno 19 maggio ricorda, tra gli altri, Sant’Ivo Hélori (1253-1303), patrono degli avvocati. Nel Martirologio Romano si legge che Ivo, sacerdote, osservò la giustizia senza distinzione di persone, favorì la concordia, difese le cause degli orfani, delle vedove e dei poveri per amore di Cristo. Era nato in Bretagna, nella diocesi di Trèguir, dopo gli studi a Parigi ed ad Orleans, specialmente per il diritto, operò presso i tribunali ecclesiastici divenendo il rifugio e l’avvocato dei miseri e degli abbandonati, istituendo per primo il patrocinio gratuito. Lasciò, successivamente, l’attività giudiziaria per dedicarsi alle opere di misericordia corporale, trasformando il suo castello in un ospizio per mendicanti, e spirituale, impegnandosi con la predicazione nelle parrocchie. Fu talmente radicata e diffusa la sua fama di santità che, con una rapida procedura, venne dichiarato santo il 19 maggio 1347 da Papa Clemente VI. Su di lui si tramanda una celebre terzina latina: «Sanctus Yvo erat Brito – Advocatus et non latro – Res miranda populo» («Sant’Ivo era bretone, avvocato ma non ladro, cosa meravigliosa per il popolo»). Nella storia giuridica sovente sono apparse delle critiche nei confronti di avvocati non degni della loro professione. Si può rammentare, a tal proposito, come già San Bernardo di Chiaravalle (1090-1153) nel «De consideratione», uno dei suoi ultimi scritti, indirizzato al papa Eugenio III (1145-1153), rivolse agli avvocati dei suoi tempi una grave censura. La memoria di Sant’Ivo Hélori costituisce l’occasione per ripresentare e precisare il ruolo e le funzioni dell’avvocato nell’ordinamento giuridico della Chiesa, che di recente, dopo la riforma del processo matrimoniale canonico, sono state oggetto di talune osservazioni, invero, più da sindacalisti che da canonisti. Occorre, prima di tutto, tenere ben presente che il Codice di Diritto Canonico per la Chiesa latina (CIC) e il Codice dei Canoni delle Chiese Orientali (CCEO) stabiliscono (can.1481 § 1 CIC e can.1139 § 1 CCEO) che le parti processuali hanno due possibilità: quella di costituirsi liberamente un avvocato o quella di agire e rispondere personalmente. Solo nelle cause penali si prevede che l’accusato deve sempre avere un avvocato che si sia egli stesso costituito o assegnato dal giudice (can.1841 § 2 CIC e can.1139 § 2 CCEO). Da questi canoni si evince che l’avvalersi del ministero di un avvocato è, ad esclusione dei giudizi penali, una facoltà e non un obbligo. Nell’ordinamento canonico, l’espressione «diritto alla difesa» («ius defensionis») sembra sia più appropriata per le cause penali, che non per altre cause, come quelle matrimoniali, per le quali forse più chiaramente si dovrebbe parlare di un diritto all’assistenza legale. Nei processi matrimoniali, giova ribadirlo, viene accusato di nullità un vincolo matrimoniale, pertanto è previsto espressamente l’ufficio del «difensore del vincolo» (can.1432 CIC e can.1096 CCEO). Per questi tipi di processi, dunque, uno dei principi fondamentali dovrebbe essere costituito dalla facoltà di avvalersi o non avvalersi del servizio di un avvocato. Vi è un certa insistenza, invece, a trasformare questa facoltà in un obbligo, anche a tenore di alcune norme di diritto particolare. La presenza di un avvocato, in una causa matrimoniale, può essere talvolta conveniente e opportuna, ma ciò non può divenire un’imposizione. Tutto questo ha delle conseguenze anche in ordine all’annosa ed enfatica questione delle parcelle e delle tariffe degli avvocati ecclesiastici. Se la scelta dell’avvocato è volontaria, allora per chi si avvarrà della sua opera, liberamente e consensualmente si determineranno i compensi, ma in un atto reso obbligatorio sembra arduo pretendere sempre e in qualunque modo una retribuzione. La figura dell’avvocato secondo il diritto canonico è dunque diversa, ad eccezione dell’ambito penale, dai diritti degli Stati. D’altronde il diritto canonico è un diritto sui generis che ha come regola suprema quella salvezza delle anime. L’avvocato («advocatus») deve essere colui che è chiamato ad aiutare qualcuno in giudizio con i consigli e con la propria autorevole presenza. Questa chiamata, a meno che la legge della Chiesa in casi speciali non stabilisca altrimenti, non è necessaria, ma colui che è invitato a quest’opera è bene che tenga conto dell’esempio e della testimonianza di Sant’Ivo Hélori.