Il primo Codice di Diritto Canonico a cento anni dalla sua promulgazione
Su questa linea il processo di codificazione inizia a muovere i primi passi con il Codice prussiano del 1794, il “Code civil” napoleonico del 1804, il Codice austriaco del 1811, il Codice civile italiano del 1865, il Codice tedesco del 1900 e quello svizzero del 1907.
Il Codice pio-benedettino fu accolto favorevolmente per il progresso che mostrava come codificazione in senso moderno, per la tecnica legislativa e la certezza del carattere di obbligatorietà della legge, per le definizioni legali e la facilità della consultazione.
Alcuni limiti della nuova codificazione furono fin da subito riscontrati per un utilizzo non sempre appropriato del linguaggio giuridico la cui terminologia spesso presenta commistioni tra ciò che è nuovo e ciò che è antiquato aprendo a incertezze e aporie. Per questo motivo appena qualche mese dopo la promulgazione del Codex, e prima ancora che entrasse in vigore, Benedetto XV con il motu proprio Cum iuris canonici del 15 settembre 1917 istituì una commissione cardinalizia per l’interpretazione autentica del Codice nominando presidente il Card. Pietro Gasparri.
Altro aspetto che si affermò sotto il profilo della critica riguardò l’inadeguatezza del Codex a rappresentare il mistero della Chiesa secondo la tripartizione “personae-res-actiones” del diritto romano e, soprattutto nel collocare i sacramenti nel trattato De rebus.
Il Codex Iuris Canonici del 1917 regolerà per sessantasei anni, insieme alla produzione giuridica successiva, la vita della Chiesa fino alla promulgazione del nuovo Codex che avverrà il 25 gennaio 1983 e la sua entrata in vigore la prima domenica di avvento del 1983. Per quarantadue anni il primo Codex della Chiesa ha rappresentato, pur con le comprensibili imperfezioni, la fonte indiscussa del diritto, cioè fino a quando il Papa Giovanni XXIII annuncia il 25 gennaio 1959 l’indizione del concilio ecumenico, del sinodo diocesano romano e la riforma del Codice di Diritto Canonico.