Guerre, povertà, cambiamenti climatici e migrazioni. Occorrono politiche economiche inclusive.
Da una analisi degli accadimenti in Siria -paese di soli 20 milioni di abitanti- che hanno drammatici riflessi anche migratori in occidente e in particolare in Europa, Gates ritiene che tanto peggio ci attende in futuro.
Aggiungo poi che vanno considerati gli effetti dell’inquinamento e dei cambiamenti climatici. Ciò aggiunge alle migrazioni dovute a guerre (sono 65 milioni le persone espatriate per i conflitti nel mondo) e alla miseria altri milioni di profughi ambientali . Nel 2012 sono state 32,4 milioni nel mondo le persone costrette ad abbandonare la loro casa in conseguenza di disastri naturali. Le previsioni per il futuro sono allarmistiche. Secondo lo scienziato Mayer entro il 2050 si conteranno 250 milioni di rifugiati ambientali e per il Programma delle Nazioni Unite sull’ambiente nel 2060 solo in Africa ci saranno circa 50 milioni di profughi climatici. Peggiori le stime del Christian Aid che prevede per il 2050 nel mondo 1 miliardo di sfollati ambientali.
Tutto questo per gli studi citati dimostra il totale non senso della politica dei muri sulle migrazioni. Il Mediterraneo sarà il nuovo Rio Grande della Storia, come il fiume che segna il confine tra Stati Uniti e Messico (e lungo il quale il presidente Trump vuole estendere la costruzione del Muro anti-migranti).
La Chiesa cattolica è una forte sostenitrice della dignità e dei diritti delle persone migranti. Osserva Pietro Parolin che la storia dell’umanità è stata sempre segnata dalle migrazioni, così come dalle disparità legate all’economia e a strategie politiche e pretese di potere, che si sono più o meno condizionate reciprocamente. Oggi, tuttavia, il contrasto tra ricchezza e povertà, nel nostro mondo interdipendente è ancor più inaccettabile. ”Colpisce il dato, riportato dall’Oxfam nel suo Rapporto 2016, che le 8 persone più ricche del pianeta nel 2016 possedevano la stessa ricchezza netta delle 3 miliardi e 600 milioni più povere, e che nel 2015-2016 dieci tra le più grandi multinazionali abbiano generato profitti corrispondenti a quanto raccolto nelle casse pubbliche di 180 paesi (…). Le guerre, specialmente, con il commercio delle armi e la corruzione che ne sono la base, impediscono ogni progresso sociale ed economico e influiscono gravemente per generazioni. Del resto, nell’attuale quadro mondiale, segnato dalla globalizzazione (…), è sempre più evidente la forte interdipendenza tra pace, sviluppo e rispetto dei diritti fondamentali.”.
Il Segretario di Stato Vaticano evidenzia poi che “i 244 milioni di migranti del 2016 sono una sfida all’umanità. E, tuttavia, la migrazione internazionale, in tutte le sue varie forme, non può considerarsi emergenza transitoria. È un diritto umano da salvaguardare.”
Per Parolin “ogni stato ha, certamente, diritto di controllare i suoi confini, decidere chi far entrare e, in base al livello di progresso, alla situazione sociale e di sicurezza, alle priorità politiche, ha differenti possibilità di accoglienza, e occorrono saggezza e prudenza. Ne ha parlato il Santo Padre al corpo diplomatico presso la Santa Sede, il 9 gennaio 2017, notando però che «un approccio prudente da parte delle autorità pubbliche non comporta l’attuazione di politiche di chiusura verso i migranti, ma implica valutare con saggezza e lungimiranza fino a che punto il proprio paese è in grado, senza ledere il bene comune dei cittadini, di offrire una vita decorosa ai migranti, specialmente a coloro che hanno effettivo bisogno di protezione».
Parolin così conclude. “Ma è realmente inclusivo un sistema economico come il nostro, ove sono ancora troppe le vittime e gli scartati? Occorre allora avere una visione più ampia dello sviluppo. Come affermava ancora il Papa, bisogna anche puntare a cambiare le regole del gioco del sistema economico-sociale. Per questo, non si può che partire da nuovi presupposti. Occorre che questa economia inclusiva nasca da una cultura che inglobi l’equità sociale, economica e ambientale, che sappia far fronte alle attuali sfide sociali e tecnologiche. Una cultura della condivisione che presuppone la reciprocità, intesa non come sfida e non tanto nel senso di una stretta corrispondenza di diritti e di doveri, quanto come coinvolgimento partecipe e solidale di tutti i soggetti interessati, in cui tutti possono e devono offrire il proprio contributo, inclusi i migranti, i paesi di provenienza e di transito e di approdo, la società civile”.