di Antonio Lovascio · Dopo venti anni di progressi (registrati soprattutto nell’area del Pacifico, in America Latina e nei Caraibi), torna a farsi drammatico lo sfruttamento del lavoro minorile, una delle conseguenze devastanti del Covid 19. Secondo le stime delle Nazioni Unite sono oltre 160 milioni (più o meno come tutti gli abitanti di Spagna, Francia e Italia messe insieme ) i bambini sottoposti alla più vergognosa schiavitù del nostro tempo. Privati del diritto “di studiare, giocare e sognare”, come ha detto Papa Francesco il 16 giugno parlando nella Giornata mondiale da lui voluta nella speranza di non far rimanere ancora una volta inattuati i suoi appelli per eliminare questa piaga, colmare le lacune economiche e sociali che stanno alla base della dinamica distorta nella quale gli adolescenti sono purtroppo coinvolti.
“Non possiamo fingere di essere distratti: siamo tutti chiamati a uscire da qualsiasi forma di ipocrisia, affrontando la realtà che siamo parte del problema”, ha esortato con vigore Bergoglio facendo presente che è in ballo il futuro della famiglia umana e in particolare delle nuove generazioni . Secondo i dati forniti dall’ISPI (l’Istituto per gli studi di politica internazionale) la maggior parte dei minori tra i 5 e 17 anni coinvolti nel lavoro minorile – circa 87 milioni – si trova in Africa subsahariana, che è anche il luogo in cui sono sfruttati di più i bambini sotto gli undici anni, a volte impiegati addirittura come soldati nei teatri di guerra. In Asia riguarda oltre 50 milioni di ragazzi, in particolare nel sudest asiatico. Colpisce che anche nelle zone più ricche del pianeta – Europa e Nord America – i minori che lavorano sono quasi 4 milioni.
Per l’Italia manca una rilevazione aggiornata, ma l’Associazione “Save The Children” lega strettamente questo fenomeno a quello della dispersione scolastica, che si è accentuato durante la pandemia. Da un recente sondaggio è emerso che quasi un ragazzo su dieci ha risposto che stava abbandonando la scuola per andare a lavorare a causa delle difficoltà economiche familiari o che non avrebbe seguito gli studi verso l’università dovendo trovarsi un’occupazione per gli effetti della crisi. Fanno poi riflettere alcuni dati ISTAT, confermati anche dall’Osservatorio Caritas, che fotografano come nel 2020 sia cresciuta la povertà assoluta (aumenta più al Nord che al Sud). Sono da considerare “assolutamente povere” più di due milioni di famiglie e quasi sei milioni di persone. Tra queste almeno un milione e trecentomila bambini, spesso preda nel Mezzogiorno della malavita organizzata.
I vari report evidenziano come al momento non siamo sulla strada giusta per l’obiettivo di eliminare il lavoro minorile entro il 2025. Anzi: per raggiungere questo traguardo il progresso a livello mondiale dovrebbe essere quasi 18 volte più veloce di quanto è avvenuto negli ultimi 20 anni. L’Italia è in grado di interrompere questo ciclo vizioso di povertà che avrà un impatto su diverse generazioni ? Per invertire questo trend – fortunatamente ne sono consapevoli il Capo dello Stato Sergio Mattarella ed il premier Mario Draghi – occorre una protezione sociale adeguata per tutti, che comprenda assegni familiari universali e la garanzia di un’istruzione di qualità che riporti tutti i bambini e le bambine a scuola, compresi quelli che non frequentavano le aule anche prima del Covid-19. Ma serve anche la promozione di lavori dignitosi per gli adulti, così che le famiglie non debbano ricorrere all’aiuto dei figli minori per generare reddito familiare. Ed è necessario rimuovere pericolose e discriminatorie norme (e abitudini) di genere che hanno un impatto determinante anche sul lavoro minorile. Servono, insomma, impegni e azioni concrete.