L’artista che trovò Dio. Un saggio su don Lorenzo Milani di Valentina Alberici

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di Gianni Cioli · Valentina Alberici, nata a Piacenza nel 1968, vive attualmente in provincia di Parma, è Laureata in economia aziendale e lavora nel settore informatico. Esperta per passione anche nell’ambito storico artistico, ha prodotto saggi significativi di ermeneutica dell’arte cristiana. Negli ultimi anni si è dedicata con successo alla produzione di opere divulgative a carattere storico nell’ambito della pubblicistica cattolica (Gesù è davvero esistito? Un viaggio avventuroso sulle tracce di Gesù, Cinisello Balsamo 2011; La chiamavano Maddalena. La donna che per prima incontrò il risorto, Milano 2015; Lorenzo Milani. L’artista che trovò Dio, Milano 2017; Maria Maddalena penitente o diaconessa? Una santa, due verità sotto il cielo di Roma, Autopubblicato 2019).

Il saggio Lorenzo Milani. L’artista che trovò Dio, che vogliamo prendere in esame, esprime per certi versi la versatilità dell’autrice. Lascia trasparire la sua passione per la storia dell’arte, la sua capacità di ricerca, la sua abilità di scrittrice coinvolgente, nonché la sua convinzione di cristiana sinceramente affascinata dalla la figura di uno dei profeti più lucidi della Chiesa del novecento. Con questo libro, più che una nuova biografia del priore di Barbiana, Valentina Alberici ci offre un piccolo romanzo di formazione che assembla lampi narrativi, testimonianze edite e inedite, riferimenti a documenti d’archivio e, soprattutto, citazioni di scritti del Milani, in una sorta di continuo ed efficace flashback. L’opera si articola in sei capitoli.

Il primo, Farò il pittore, riflette sugli effetti dall’inaspettata decisione del diciottenne, neo diplomato Lorenzo che nel 1941, piuttosto che iscriversi all’Università secondo le attese della famiglia, sceglie di dedicarsi alla pittura. La riflessione di Alberici si sviluppa soprattutto attorno alla bella figura dell’artista Hans Joachim Staude, tedesco ma fiorentino d’adozione, primo maestro del Milani nell’arte pittorica, ma soprattutto, suo determinante maestro nell’arte di vivere ed efficace maieuta della sua personalità.

Il secondo capitolo, Studente all’Accademia di Brera, considera il periodo, breve ma ricco di incontri, confronti e scontri anche con figure artistiche di spicco, trascorso dal giovane come allievo dell’Accademia di Brera a Milano (1941-1942). Qui l’autrice concede un particolare risalto alla figura di alla figura di Tiziana Fantini, anch’ella allieva a Brera. Con lei Lorenzo aveva stretto una profonda amicizia, un rapporto che continuò anche quando il giovane Milani abbandonò l’Accademia, pare per lo “sgarbo” del docente di tecnica di affresco, Achille Funi, che, passando tra i cavalletti degli allievi, aveva “osato” ritoccargli un lavoro.

Il terzo capitolo, La conversione, vuole illustrare l’importanza decisiva del periodo trascorso all’Accademia di Brera per la conversione del futuro prete fiorentino. Particolarmente influente sul giovane, inquieto e in permanete ricerca d’un senso, sarebbe stata, secondo Alberici, la sua docente di Storia dell’Arte e del Costume, Eva Tea, donna di grande cultura e carisma, collaboratrice dell’Istituto Beato Angelico di Milano. Proprio lei avrebbe suscitato in Lorenzo l’amore e l’interesse per l’arte sacra e, conseguentemente, per la liturgia cattolica, i suoi riti e i suoi colori. Questo amore e interesse appaiono testimoniati da un suo dipinto del 1942 che raffigura una celebrazione liturgica all’interno del duomo di Milano. Proprio, durante la visita a una chiesa del capoluogo lombardo, il giovane Milani avrebbe confidato all’amica Tiziania Fantini la sua determinazione a farsi prete.

Il quarto capitolo, In Seminario, descrive l’approdo di Lorenzo, dopo il discernimento mediato da don Raffale Bensi, al Seminario a Firenze, il suo cammino di maturazione verso il ministero ordinato, il suo sincero amore per la liturgia e il suo impegno nella vita di pietà, la sua fedeltà alla disciplina, la sua serietà, ma anche la sua capacità critica, di fronte allo studio della teologia. Quest’interesse e questo spirito critico si riflettevano nei rapporti con suoi professori dello Studio teologico, talora fortemente stimati, talaltra decisamente biasimanti. In questo capitolo Alberici ci presenta un Lorenzo finalmente sereno e rappacificato con se stesso, radicalmente convinto della sua vocazione e al tempo stesso, proprio perché del tutto identificato con la sua vocazione a servizio della missione della Chiesa, capace di maturare il carisma della critica profetica nei confronti della sua Chiesa. La lettura del famoso testo di Henri Godin e Yvan Daniel, La france pays de mission?, ma anche di romanzi come Anche i santi vanno all’inferno di Gilbert Cesbron sulla scelta dei preti operai, lo aiutarono a cogliere i limiti della miopia ecclesiastica riguardo all’urgenza missionaria nei confronti di un popolo che la Chiesa andava perdendo.

Il quinto capitolo, Finalmente prete, parla dell’approdo tanto desiderato di Lorenzo al sacerdozio ministeriale, della sua gioia e della sua serietà nel celebrare i sacramenti, nel dedicarsi ai malati e ai giovani, ma anche del suo bisogno di sperimentare nuove forme di approccio pastorale, come pure della presa di coscienza della sua vocazione di educatore, ovvero di maestro. In queste pagine Alberici descrive abilmente la parabola – da Montespertoli, a Calenzano, a Barbiana – del don Milani, incompreso dalla sua Chiesa, incompreso perché profeta e, paradossalmente, profeta perché incompreso. L’autrice mette fra l’altro bene in evidenza il ruolo che l’esperienza di ex artista ha giocato nella pratica educativa di don Lorenzo, in particolare attraverso la commovente narrazione della realizzazione, fatta dal priore insieme ai ragazzi, del mosaico in vetro dedicato al Santo scolaro, opera tuttora presente nella chiesa di Barbiana e che costituisce, a mio avviso, un profondo messaggio di spiritualità cristiana.

Il sesto capitolo, Più che lettere, capolavori, può sorprendere ed apparire, a uno sguardo superficiale, una debolezza metodologica. Riporta infatti integralmente due famose lettere di don Milani, precedute solo da brevi introduzioni. La prima è Lettera ai giudici, scritta nel 1965 in occasione del processo che lo vide imputato per apologia di reato, dopo la sua Risposta ai cappellani militari della Toscana in cui difendeva l’obiezione di coscienza al servizio militare. La seconda è la lettera-articolo, Un muro di foglio e d’incenso, inviata nel 1959 all’amico Nicola Pistelli, direttore di Politica, sul tema dell’atteggiamento dei cattolici nei confronti delle autorità ecclesiastiche e sul compito della stampa cattolica nella Chiesa e nella società. Di solito, si potrebbe obiettare, documenti del genere si riportano in appendice, ma in questo caso si tratta di due scritti che effettivamente meritano di costituire il capitolo finale del libro perché riassumono per certi versi appieno il pensiero di don Milani e risultano davvero illuminanti per comprenderne la personalità e la profezia. La Lettera ai giudici, definita da padre Ernesto Balducci «uno dei capolavori della letteratura cristiana di tutti i tempi», illustra compiutamente la visione milaniana sulla coscienza, sulla sua centralità e sull’importanza della sua formazione. La lettera a Nicola Pistelli, pubblicata postuma, illumina icasticamente l’ecclesiologia del priore di Barbiana.

Risultano molto utili le due pagine dedicate alla Cronologia e alle opere di Lorenzo Milani che permettono al lettore di ripercorrere senza smarrirsi l’articolato gioco di specchi che si sussegue nelle pagine attraverso il flashback della narrazione.

Il periodo, breve ma intenso e decisivo (maggio 1941-giugno 1943), della vocazione artistica di Lorenzo Milani è stato già oggetto di varie indagini che hanno contribuito a far luce sul carisma d’una personalità certo non comune e difficilmente classificabile. È stato efficacemente messo a fuoco da Nerea Fallaci, nella sua imprescindibile biografia, Dalla parte dell’ultimo. Vita del prete Lorenzo Milani (Milano 1974), ed è stato più recentemente illustrato in occasione di una mostra tenutasi a Firenze, a Palazzo Medici Riccardi dal 6 giugno al 24 luglio 2013, e documenta in un ricco catalogo (S. Gesualdi – C. Baldini [edd,], Don Lorenzo Milani e la pittura: dalle opere giovanili al Santo Scolaro, Signa 2013).

Il saggio di Valentina Alberici porta ulteriore luce su questo periodo, ritrovando e illustrando nomi, pensieri e storie, che si sono incrociati con la vicenda di Lorenzo, dal diploma liceale all’ingresso in seminario, ricomprendendo le idee del giovane, i suoi atteggiamenti e i suoi tormenti, spesso singolari e sopra le righe, attraverso le parole e i gesti della maturità, e illuminando le scelte, radicali e sofferte, dell’adulto, del prete e del profeta, con le esperienze determinanti della giovinezza.

Fra le tante testimonianze di quanto quel periodo in genere e l’esperienza di aspirante pittore in specie possano aver contribuito alla formazione del futuro prete colpisce in particolare quella, già a suo tempo raccolta da Nerea Fallaci, del suo maestro Hans Joachim Staude, al quale Lorenzo, interrogato da lui sui motivi che l’avevano spinto a entrare in seminario, avrebbe risposto: «“È tutta colpa tua! Tu hai parlato di cercare sempre l’unità, di cercare l’essenziale, di semplificare, di eliminare i dettagli, di vedere le cose nella loro unità dove ogni parte dipende dall’altra…” Lorenzo non si era accontentato di realizzare tutto ciò “su un pezzo di carta” e aveva aggiunto: “I rapporti non li voglio più cercare soltanto fra colori, ma fra persone nel mondo e nella mia vita, nel rapporto fra me e il mondo. Allora ho trovato un’altra strada”» (pp. 18-19).

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