Il ritiro dall’Afghanistan: l’Italia che non abbandona nessuno
di Alessandro Caccavale · Il 30 giugno, con il ritorno dell’ultima aliquota della Brigata Folgore a Pisa, si conclude ufficialmente la missione italiana in Afghanistan; in coerenza con il piano di ritiro della Coalizione NATO a guida USA dal suolo afghano, a seguito dell’accordo firmato dagli Stati Uniti con i Talebani. Dopo quasi 20 anni dall’inizio dell’asperrimo conflitto, tutti i contingenti internazionali dovranno ritirarsi per cedere alle Forze di Sicurezza Afghane il controllo delle loro basi. La decisione degli Stati Uniti di ritirarsi entro la data simbolica dell’11 settembre, data poi anticipata al 4 luglio, ha obbligato tutti i contingenti a rivedere le proprie strategie di ripiego per assicurare una cornice di sicurezza adeguata.
La situazione dopo il ritiro NATO è sempre più incerta: da una speranza di pace nel Paese si è arrivati a temere una nuova guerra civile, dovuta al proliferare degli attacchi talebani nonostante gli accordi presi. Una guerra che in venti anni è costata notevoli cifre miliardarie, ma che di più è costata a livello umano: la stima più bassa delle perdite civili ammonta a circa 47,246; 65,596 caduti sono invece registrati nelle Forze di Sicurezza Afghane, mentre il numero delle perdite militari della Coalizione al 18 maggio 2020 ammontava a 3502 caduti. Il conto più salato l’hanno pagato gli USA con 2355 caduti; il contingente italiano in questi venti anni ha avuto 53 caduti.
Fra chi vede questo ritiro come un abbandono del popolo afghano vi sono gli interpreti locali, che durante il conflitto hanno svolto un ruolo insostituibile nella mediazione fra l’alleanza NATO e la popolazione locale. Alla notizia del ritiro essi si sono sentiti abbandonati, temendo estreme ripercussioni da parte talebana sulle loro vite e su quelle dei loro cari. L’Italia è fra i paesi che per primi hanno deciso di non abbandonare questi collaboratori, ma di accoglierli nel proprio territorio. “L’Operazione Aquila” è iniziata il 14 giugno con l’arrivo a Fiumicino dei primi 82 collaboratori, su un totale di 670 civili afghani. Con l’“Operazione Aquila”, l’Italia testimonia la vicinanza e la gratitudine a chi ha svolto un servizio per il ristabilimento di condizioni di pace in una terra martoriata.