Il denaro di Cesare e il regno di Dio
di Stefano Tarocchi · Il testo di Marco del celebre insegnamento sul tributo a Cesare (Mc 12,14 e paralleli)1, ambientato nel tempio di Gerusalemme, è centrale all’interno della triplice tradizione sinottica.
Qualcuno ha inviato a Gesù farisei ed erodiani per metterlo alla prova. Di farisei ed erodiani si è già parlato in Mc 3,6, ancora in Galilea, dopo la guarigione dell’uomo dalla mano paralizzata: «i farisei uscirono subito con gli erodiani e tennero consiglio contro di lui per farlo morire».
Il solo Marco però fa emergere un’inedita alleanza a Gerusalemme tra farisei ed erodiani (che spariscono però dai racconti paralleli), per mettere alla prova Gesù al fine di coglierlo in fallo e accusarlo. Così nemici e amici dei romani si trovano uniti nell’attacco contro Gesù.
Gesù è considerato un maestro fidato: dunque quelle direttive che nascono da lui devono essere seguite da coloro che lo ascoltano. Ed è qui il nocciolo della questione.
La questione è più che spinosa: il tributo imperiale è permesso oppure no? Quando il figlio di Erode, Archelao, tetrarca della Giudea viene deposto dai Romani (6 d.C.) e il popolo giudaico perde la sua libertà, un movimento guidato probabilmente da Giuda il Galileo – ce lo dice Flavio Giuseppe – suggerisce che il pagare il tributo ai romani sia un delitto.
Qui la triplice tradizione usa termine diversi per definire questo tributo: Marco, come Matteo, utilizza in greco il termine latino che deriva da census, ossia una tassa sulla testa di ogni persona, che invece Luca nel parallelo chiamerà tributo. Si trattava di una tassa personale molto elevata, uguale per tutti che andava a finire direttamente al fisco imperiale.
I farisei avevano deciso di pagare il tributo, benché chiaramente sgradito.
Qualunque fosse stata la risposta di Gesù sicuramente la risposta affermativa avrebbe in qualche modo toccato la problematica teologica. Tuttavia, soprattutto una risposta negativa avrebbe fatto di lui un rivoltoso.
Ora è più che evidente che la moneta è simbolo di potere. Quello che non capiscono gli avversari di Gesù, soprattutto nel tempio laddove si svolge il ministero di Gesù a Gerusalemme nei giorni avanti la passione, è una sfida ad un potere che appartiene a un mondo che non è quello di Gesù. Così la vicinanza di Gesù e del potere imperiale non deve trarre in inganno: essa non può suggerire nessuna sorta di compromesso.
L’accento è dunque decisamente su Dio: il potere umano è solo transitorio nell’opporsi alla stabilità e alla durata del regno di Dio.
Ecco perché i diversi racconti dei Vangeli registrano la reazione di meraviglia (Mt 22,22 e Lc 20,20), o di ammirazione (Mc 12,17) degli avversari: questi persistono nella ostilità contro Gesù, ma devono darsi per vinti dopo aver tentato. È forse questo il significato del verbo “tacere” usato nella conclusione di Luca.
1 «Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio» (Mc 12,13-17; Mt 22,15-22; Lc 20,20-26)