di Alessandro Clemenzia · La figura di san Giuseppe si presenta capace in ogni epoca di offrire quei criteri fondamentali che sottostanno alla natura delle diverse vocazioni nella Chiesa; tra queste, quella al ministero ordinato.
Papa Francesco, in un discorso rivolto alla comunità del Seminario regionale marchigiano Pio XI di Ancona (10 giugno 2021), ha presentato la centralità della famiglia di Nazareth per sottolineare un aspetto che non può minimamente essere trascurabile per coloro che si formano all’ordine sacro, vale a dire la docilità: «Il Figlio di Dio ha accettato di lasciarsi amare e guidare da genitori umani, Maria e Giuseppe, insegnando a ciascuno di noi che senza docilità nessuno può crescere e maturare». Questo aspetto, centrale per ogni cammino di consacrazione, è soprattutto una virtù, e come tale, prima che da vivere, è da ricevere in dono.
I formatori di Seminario sono così chiamati a guardare San Giuseppe come modello di santità nel “custodire” e “prendersi cura” della vocazione dei seminaristi. Rivolgendosi direttamente a coloro che si occupano in prima linea della formazione, Francesco li ha esortati a essere sempre, per i ragazzi loro affidati, ciò che Giuseppe è stato per Gesù, affinché i seminaristi «imparino la docilità dalla vostra obbedienza; la laboriosità dalla vostra dedizione; la generosità verso i poveri dalla testimonianza della vostra sobrietà e disponibilità; la paternità grazie al vostro affetto vivo e casto». La castità qui è colta come “libertà dal possesso”; e in questo consiste il vero amore: infatti, «solo quando un amore è casto, è veramente amore».
Rivolgendosi poi ai seminaristi, il Papa li ha esortati a diventare preti esperti d’umanità, sempre pronti a comunicare con ogni uomo e donna di oggi, attraverso l’esperienza dei propri fallimenti e dolori; non ci si può accontentare di essere degli esperti nella comunicazione attraverso un’abilità nell’uso dei social e dei media.
Per preparare sacerdoti esperti d’umanità, il Seminario deve diventare sempre di più un luogo capace di penetrare nella realtà odierna, senza mai allontanarsi da essa: «Tra le mura del Seminario dilatate i confini del cuore – il cuore dilatato –, estendendoli a tutto il mondo, appassionatevi di ciò che “avvicina”, […] che “apre”, che “fa incontrare”». Ed è proprio vivendo questa dinamica della prossimità che il desiderio di ciascuno non si accontenta di rimanere racchiuso in spiritualismi appaganti, che generano tra l’altro solo rigidità: «Dietro ogni rigidità c’è un problema grave, perché la rigidità manca di umanità».
Alla luce di questa riflessione il Papa introduce le quattro componenti essenziali della formazione: quella umana, quella spirituale, quella intellettuale, e infine quella pastorale.
Il primo invito è quello di non censurare nulla della propria umanità, coltivando quotidianamente «relazioni pulite, gioiose, liberanti, umane, piene, capaci di amicizia, capaci di sentimenti, capaci di fecondità».
La dimensione spirituale, in questa luce relazionale, non può essere compresa come qualcosa di intimistico, ma significa diventare costantemente «intercessori per il mondo». Questo orientamento verso l’esterno è il primo modo per evitare di cadere in una religiosità liturgica che altro non è se non la celebrazione di se stessi.
Lo studio è un’altra componente essenziale, che non va confuso con l’intellettualismo: attraverso di esso, infatti, si possono mettere le basi, in vista di una preparazione volta a saper parlare e dialogare con il mondo attuale». È proprio nella complessità della cultura odierna che va incarnata la sapienza del Vangelo: per il raggiungimento di questo fine sono necessarie una seria competenza e una rigorosa preparazione.
La dimensione pastorale non va intesa come un attivismo che fa vivere la realtà in modo superficiale, ma deve essere capace di spingere ogni seminarista, singolarmente ed ecclesialmente, «ad andare con entusiasmo incontro alla gente». Questa disponibilità di uscita verso l’altro è la dinamica che meglio aiuta il presbitero a non chiudersi in se stesso, dando vita a quel clericalismo sempre in agguato.
Queste quattro dimensioni costitutive della formazione al presbiterato sono lette dal Papa in chiave relazionale; per questo il vero pastore è chiamato ogni giorno ad assumere, in relazione al gregge che gli è affidato, una triplice postura umana: egli deve saper stare davanti, in mezzo e dietro.
La Chiesa è Chiesa se è capace di indirizzare il suo sguardo, tanto su Cristo, quanto sul mondo: tutto ciò è vero se viene quotidianamente assunto, non solo dai presbiteri o da chi si prepara all’ordine sacro, ma da ogni battezzato, ciascuno secondo la propria vocazione.