di Francesco Romano • Il titolo, volutamente provocatorio, vuole registrare quanto il mondo degli opinionisti possa incidere negativamente sulla comunicazione da condizionare gli orientamenti, le scelte di vita, il comune sentire in ambito etico, culturale ecc. Un esercito di “pensatori” che fondando il loro sapere su approssimative e spesso presunte conoscenze di tutto lo scibile, tra un sillogismo e un anacoluto, si presentano a tutte le ore del giorno nelle case dei telespettatori come la fonte genuina della verità, da ricevere tanta più forza di adesione quanto più il personaggio che le propala è notorio e assiduo frequentatore dei vari talk show.
Quante trasmissioni martellanti e ripetitive hanno occupato tutti gli ancor minimi spazi della comunicazione per dare notorietà a nuove star della scienza che hanno gareggiato a insegnarci come lavarsi le mani, a indicare la necessità a giorni alterni delle mascherine, a comunicarci la scoperta dell’ultima ora che i guanti non sono solo inutili, ma anche dannosi, a convincerci che dovremo abituarci a familiarizzare con un virus che sembra avere meno carica virale delle loro interviste!
In questo frangente pandemico la comunicazione ecclesiale, il più delle volte tecnicamente improvvisata con il ricorso ai social, è stata efficacemente utilizzata in modo capillare e lodevole su tutto il territorio nazionale soprattutto da parroci mossi da forte zelo pastorale per stare vicino ai propri fedeli e offrire la possibilità di seguire da casa le celebrazioni.
Purtroppo si sono dovuti registrare anche nel mondo ecclesiastico voci che non hanno risparmiato di lanciare come arditi strali i loro giudizi contro gli stessi Vescovi su come interpretare e applicare le norme concordatarie, gestire i luoghi di culto, la liturgia e perfino valutare la pericolosità del contagio, in alcuni casi facendo sfoggio anche di canoni del Codice o citazioni del Concilio senza neppure capirne il significato. Ho ricordo di un professore e giurista molto noto che spesso diceva di aver visto improvvisati canonisti maneggiare il Codice come un ricettario dell’Artusi, con tutto il rispetto per questo importante autore.
Non possiamo così presto dimenticarci che già dalla così detta “fase uno” della pandemia la Conferenza Episcopale Italiana ha dettato le linee guida per sostenere i Vescovi nelle decisioni da prendere per le rispettive Diocesi. D’altra parte gli stessi Vescovi diocesani, settimana dopo settimana, hanno esercitato la loro cura pastorale nel dare sostegno spirituale al clero e ai fedeli delle loro Chiese e precise disposizioni di comportamento a salvaguardia della salute di tutti.
Dopo questa premessa, per fare un esempio, mi soffermo su un fatto che si è verificato per iniziativa di un certo parroco, questa volta in modo meno lodevole, che è arrivato a emanare un proprio decreto di dispensa dall’osservanza del precetto festivo per tutti i suoi parrocchiani venendo a sovrapporsi, o per certi versi a contrapporsi, alle precise direttive già date dal Vescovo.
Il punto della questione nello specifico è ora di precisare quali siano le prerogative del parroco in ordine alla facoltà di dispensare dall’obbligo di osservare il giorno festivo, in riferimento alla fattispecie del can. 1245.
La dispensa è un atto positivo con cui viene concesso l’esonero dall’osservanza delle leggi puramente ecclesiastiche per un caso particolare da coloro che godono potestà esecutiva nei limiti della loro competenza, oppure da coloro cui compete dispensare in forza del diritto o di una legittima delega (can. 85), per una giusta e ragionevole causa (can. 90 §1). Quindi la competenza è iure proprio del Vescovo diocesano e di coloro a lui equiparati che reggono una Chiesa particolare, escluso le leggi processuali o penali e le leggi che la Santa Sede ha riservato a sé (can. 87 §1). In forza del diritto anche l’Ordinario del luogo (vicario generale ed episcopale) può dispensare dalle leggi diocesane (can. 88).
Il parroco non possiede alcuna potestà esecutiva per cui in linea generale non ha la facoltà di dispensare a meno che una legge per casi particolari non gliela conceda espressamente (can. 89). Questo si verifica per la fattispecie contemplata dal can. 1245 relativamente alla facoltà del parroco per “singoli casi di dispensare dall’obbligo di osservare il giorno festivo”. Si tratta di una facoltà data in forza del diritto, ma con margini di estrema limitazione, in modo subordinato al Vescovo diocesano, da usare conformemente alle disposizioni da lui emanate per assicurare unità di criteri per tutta la diocesi. Infatti il can. 1245 esordisce in modo categorico con la frase “fermo restando il diritto dei Vescovi diocesani di cui al can. 87”, per escludere che possa essere erroneamente inteso come se ci fosse un diritto cumulativo tra Vescovo e parroco.
Se la dispensa avviene per intervento dell’autorità competente che esonera dall’osservanza della legge, vi sono anche leggi che già prevedono circostanze in cui si è esentati, senza che ci sia bisogno dell’intervento dell’autorità. In questo caso non si ha dispensa bensì “semplice esonero”, si pensi per esempio all’esonero dalla legge del digiuno di un’ora prima di ricevere l’Eucaristia per le persone anziane, quindi anche prima del sessantesimo anno di età, per coloro che sono affette da qualche infermità e per coloro che le assistono (can. 913 §3).
Oltre al “semplice esonero” dobbiamo necessariamente ricordare, nel contesto dell’argomento che stiamo trattando, anche la “epikèia” che si distingue nettamente dalla dispensa essendo una regola soggettiva della coscienza il cui giudizio fa cessare l’obbligo della legge ab intrinseco, senza l’intervento dall’esterno dell’autorità competente, a causa di circostanze che ne renderebbero eccessivamente gravosa l’osservanza. La “epikèia” è un concetto che appartiene alla morale più che al diritto, agisce nel fòro interno, anche se ha qualche affinità con la “aequitas” giuridica.
A fronte dell’obbligo di partecipare alla Messa nei giorni festivi di precetto (can. 1247) il Legislatore universale fissa una norma che si configura più come una esortazione pastorale anziché una prescrizione giuridica, lasciando ai fedeli di valutare quando “partecipare alla celebrazione eucaristica diventi impossibile” per esempio per “una causa grave” attendendo a uno spazio di preghiera (can. 1248 §2).
Fatte queste premesse in punto di diritto, il caso concreto che ci ricordano queste osservazioni è dato da un parroco, di cui non farò riferimento alla diocesi di appartenenza, che ha ritenuto di sostituirsi al diritto dei Vescovi di dispensare (cann. 87; 1245) emanando per tutto il proprio territorio parrocchiale un decreto di dispensa a tempo indeterminato dalla partecipazione alla celebrazione eucaristica nel giorno festivo a norma del can. 1245. Questo accadeva all’inizio della “fase due” con la ripresa graduale delle celebrazioni delle Messe con il popolo a determinate condizioni molto rigorose per salvaguardare la salute pubblica. Quanto alla dispensa dal precetto festivo, fin dall’inizio della pandemia la Chiesa ha sempre provveduto a fornire informazioni ai fedeli, e ancora oggi lo fa se le circostanze personali che si riferiscono all’età, alla salute, oppure al luogo sacro, non offrissero sufficienti garanzie a tutela della loro salute.
Nel protocollo d’intesa del 7 maggio 2020 firmato dal Presidente del Consiglio Conte, il Ministro dell’Interno Lamorgese e il Card. Bassetti Presidente della CEI, al punto 5.2 viene ricordata “la dispensa dal precetto festivo per motivi di età e di salute”. Detto per inciso, in questo caso si sarebbe dovuto parlare di “esonero” anziché di “dispensa” in quanto già la legge prevede l’eventualità che si verifichi l’impossibilità di partecipare alla Messa.
A questa disposizione generale del Protocollo d’intesa faceva seguito l’intervento pastorale e giuridico del Vescovo diocesano, da cui dipende il suddetto parroco, in forza della sua potestà esecutiva (can. 87) teso ad evitare che “il ritrovarsi insieme possa in qualche modo essere causa di nuove infezioni per disattenzioni, superficialità, voglia, affrettata di partecipazione senza essere nelle condizioni di età e salute per farlo”. Questo permetteva di fugare il dubbio o la distrazione circa la ripresa dell’obbligo di soddisfare il precetto festivo.
Inoltre, per significare che la graduale ripresa della “fase due” non corrispondeva alla ripresa di un obbligo, il Vescovo invitava “i sacerdoti che non potessero celebrare alle indicazioni stabilite dalle Indicazioni a confrontarsi con il Vescovo, il Vicario generale, il Vicario episcopale per la pastorale, il Vicario foraneo, “e dopo esserci confrontati, si potrebbe anche giungere alla conclusione che in quel luogo le celebrazioni pubbliche non si riprendono”.
La sovrapposizione del parroco in questione alla competenza del Vescovo diocesano, o peggio la negligenza nel non aggiornarsi alle disposizioni date dal suo Vescovo, non gli permettono di fondare sul can. 1245 il “decreto parrocchiale” di dispensa per tutta la parrocchia dal precetto festivo per una materia già dettagliatamente presa in esame dal Vescovo. L’atto amministrativo del parroco è, inoltre, privo del requisito essenziale per la validità, ovvero la sopraggiunta “giusta causa” della dispensa, che non sia quella già presa in esame dal Vescovo, come abbiamo testé detto, che in base a essa ha emanato le sue disposizioni: “il ritrovarsi insieme possa in qualche modo essere causa di nuove infezioni per disattenzioni, superficialità, voglia, affrettata di partecipazione senza essere nelle condizioni di età e salute per farlo”.
Forse quel parroco aveva confuso la sua parrocchia con quelle del Brasile o di qualche altra parte del mondo. In questo caso una disposizione generale del Vescovo diocesano, data per un territorio sconfinato, potrebbe richiedere una applicazione particolare per una determinata parrocchia, come “singolo caso”. Questa è la mens del can. 1245 che non permette di essere invocato in modo generico e con approssimazione.
Riguardo all’obbligo del precetto festivo la questione è molto più semplice senza doversi improvvisare giuristi per l’occasione. Nessuno dovrà mai telefonare al parroco per chiedere la dispensa se una domenica si svegliasse con la febbre a 38 gradi, oppure tutte le volte che a un poliziotto, a una infermiera o a un ferroviere tocca fare il turno di servizio di domenica, non solo per una saggezza elementare, ma anche perché è proprio il can. 1248 §2 a prevedere la “impossibilità” di partecipare alla Messa per una grave causa fondando la norma sul principio di diritto naturale “ad impossibilia nemo tenetur”. Non c’è bisogno di chiedere la dispensa al parroco per essere sollevati dall’osservanza del precetto, bensì, come abbiamo sopra spiegato, è già la legge stessa che contiene in sé l’esonero e, per essere ancora più precisi, sarà la discrezionalità che opera nella coscienza della persona, la “epikèia”, a far discernere il livello di impossibilità ad adempierlo.
Il Vescovo avendo ricordato il rischio ancora molto alto di contagio, ha fornito un criterio di giudizio incoraggiando allo stesso tempo a una maggiore prudenza come un dovere sociale per cui con la riapertura in modo graduale al popolo della celebrazione delle Messe ha voluto anche ricordare che il passaggio alla “fase due” non ha superato e risolto i rischi della “fase uno” perché “il ritrovarsi insieme può essere ancora causa di nuovi contagi”. In questo modo l’impossibilità di partecipare alla Messa per una grave causa oggettiva come l’età e la salute, viene allargata anche al timore del contagio che, nonostante nella parrocchia siano stati rispettati tutti i protocolli, non comporta l’obbligo di partecipare alla Messa.
L’intervento pastorale del Vescovo diretto a tutte le parrocchie e ai singoli fedeli della sua diocesi è l’esempio che non si è trattato di una concessione della dispensa, bensì l’affidamento alla discrezionalità e alla coscienza di ognuno, secondo la condizione in cui viene a trovarsi, di decidere cosa fare. Si tratta appunto della “epikèia”, quale regola soggettiva della coscienza.
In conclusione, mostra tutta l’incongruenza giuridica il ricorso al can. 1245 di quel solerte parroco, giurista per un giorno o mal consigliato, nel decretare la dispensa dal precetto festivo della Messa, indistintamente per tutti i suoi parrocchiani, oscurando l’indicazione pastorale già data dal suo Vescovo di commisurare, ciascuno nella propria coscienza, il livello di impossibilità a prendere parte alla celebrazione della Messa rispetto alla propria situazione, cioè l’età, la salute, il timore del contagio, nonostante il rispetto di tutti i protocolli adottati dalla parrocchia.