Prassi liturgica e obbedienza alla circostanza

Il dibattito ha fatto spostare l’attenzione da una dimensione più soggettiva della situazione sociale a una più oggettiva: dalla necessità di partecipare all’assemblea liturgica alla domanda sulla legittima sospensione della forma pubblica della Messa, attraverso un atto di legge. I vari interventi ruotano attorno alla seguente domanda: il mezzo usato dal governo è stato realmente necessario? Certamente va riconosciuto che la decisione di sospendere le liturgie pubbliche, richieste dal governo e dalle ordinanze regionali, è stata anche recepita dalla Conferenza Episcopale Italiana, in ottemperanza al principio di reciproca collaborazione con lo Stato italiano (sancito dal Concordato, articolo 1).

Al di là del Concordato, che segna certamente un punto di non ritorno, è importante fare riferimento a una prassi che nella Chiesa è sempre esistita, basti pensare ai provvedimenti presi da Alessandro VII a causa di una terribile peste che dilagò nella città di Roma nel 1656, oppure alle disposizioni emanate dall’Arcivescovo di Lucca Giulio Arrigoni a causa del colera, avvenuto tra il 1854 e il 1855.

La polemica, soprattutto in ambito giuridico, riguarda non tanto la decisione della Conferenza Episcopale Italiana di recepire e disporre quanto richiesto dal governo e interrompere le liturgie pubbliche, ma la performatività di quanto affermato dal governo nel dichiarare sospese le Messe nella forma pubblica. Per approfondire questo argomento – che fuoriesce dalle mie personali competenze – vorrei riportare due contributi di esperti, recentemente usciti: uno, scritto da Massimiliano Viola, dottorando di ricerca in diritto costituzionale e cultore della materia in diritto pubblico, l’altro, da Andrea Drigani, docente di Diritto Canonico presso la Facoltà Teologica dell’Italia Centrale (Firenze).

proporzionalità in senso stretto, che guarda agli effetti dell’atto, secondo uno schema di costi-benefici, non dovendo gravare in modo eccessivo sul destinatario della misura. Si tratta, a ben vedere, di un’analisi sul quomodo del potere».

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Dignitatis Humanae fa una precisazione, ribadendo che l’esercizio del diritto alla libertà religiosa, essendo esercitato nella società umana, deve essere regolato da alcune norme, e tra queste vi è il principio morale della responsabilità personale e sociale: «nell’esercitare i propri diritti i singoli esseri umani e i gruppi sociali sono tenuti ad avere riguardo tanto ai diritti altrui, quanto ai propri doveri verso gli altri e verso il bene comune». Pur rimanendo aperti gli edifici di culto, di fronte un caso di pandemia ci si trova in uno stato di emergenza tale, in cui al precetto religioso devono passare avanti la tutela degli altri, il bene comune e la solidarietà sociale. Il canonista termina la sua riflessione riconoscendo lo stato di necessità in cui ci si trova e ricordando un antico principio del diritto romano: «Necessitas non habet legem, sed ipsa sibi facit legem».