Nella direzione di una Pentecoste teologica

200 300 Alessandro Clemenzia
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Senza-titolo-e1552585669510-200x300di Alessandro Clemenzia • Con queste parole profetiche di Papa Francesco si potrebbe sintetizzare quanto ha affermato nella sua visita a Napoli, il 21 giugno scorso, in occasione di un Convegno, organizzato dalla Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, intitolato: “La teologia dopo Veritatis Gaudium nel contesto del Mediterraneo”. Per la densità del suo discorso, si possono mettere in luce soltanto alcuni aspetti decisivi, che realmente possono introdurci «nella direzione di una Pentecoste teologica».

Le sue parole puntavano soprattutto non sul contenuto di studio, ma sul metodo di lavoro. Il punto di partenza è chiaro: «Dobbiamo convincerci: si tratta di avviare processi, non di fare definizioni di spazi, occupare spazi… Avviare processi». Quanto affermato è un richiamo rivolto alla teologia di rivolgere l’attenzione sul “come” essa stessa si pensa in relazione al contesto contemporaneo. I termini-chiave che hanno innervato l’intera riflessione sono: “accoglienza e dialogo”. Si può capire come al centro della riflessione non ci sia una disciplina, ma la persona, la comunità: «Il dialogo è anzitutto un metodo di discernimento e di annuncio della Parola d’amore che è rivolta ad ogni persona e che nel cuore di ognuno vuole prendere dimora. Solo nell’ascolto di questa Parola e nell’esperienza dell’amore che essa comunica si può discernere l’attualità del kerygma. Il dialogo, così inteso, è una forma di accoglienza». Da queste considerazioni centrate in particolar modo sull’uomo scaturisce un altrettanto peculiare modo di pensare, anche in relazione alla teologia: «Le scuole di teologia si rinnovano con la pratica del discernimento e con un modo di procedere dialogico capace di creare un corrispondente clima spirituale e di pratica intellettuale. Si tratta di un dialogo tanto nella posizione dei problemi, quanto nella ricerca insieme delle vie di soluzione».

Il centro su cui si fonda questa riflessione e da cui scaturisce una particolare logica interpretativa viene rintracciato dal Papa nell’evento pasquale: «Assumere questa logica gesuana e pasquale è indispensabile per comprendere come la realtà storica e creata viene interrogata dalla rivelazione del mistero dell’amore di Dio. Di quel Dio che nella storia di Gesù si manifesta – ogni volta e dentro ogni contraddizione – più grande nell’amore e nella capacità di recuperare il male». Da questo evento, dunque, viene offerto un metodo capace «di confrontarsi con ogni istanza umana e di cogliere quale luce cristiana illumini le pieghe della realtà e quali energie lo Spirito del Crocifisso Risorto sta suscitando, di volta in volta, qui ed ora». Questo metodo “dialogico” – come lo chiama Francesco – porta, tanto il singolo quanto la comunità, ad assumere uno sguardo “pasquale”, capace di cogliere la positività della realtà, e spinge il soggetto ecclesiale a inserirsi, dal di dentro e dal di sotto, nel mondo, per «giungere là dove si formano i paradigmi, i modi di sentire, i simboli, le rappresentazioni delle persone e dei popoli». Si tratta, recuperando l’immagine di Francesco, di essere come “etnografi spirituali” dell’anima dei popoli: attraverso il dialogo è possibile annunciare il Vangelo del Regno di Dio. Tale annuncio, dunque, deve avere l’esperienza del dialogo come suo indispensabile e imprescindibile presupposto: «L’approfondimento del kerygma si fa con l’esperienza del dialogo che nasce dall’ascolto e che genera comunione».

Dopo aver riflettuto sul soggetto teologico, la dimensione del dialogo porta la teologia a riflettere su se stessa anche come oggetto, e qui il Papa introduce l’urgenza di una forma inter- e trans-disciplinare della conoscenza: «Una teologia dell’accoglienza che, come metodo interpretativo della realtà, adotta il discernimento e il dialogo sincero necessita di teologi che sappiano lavorare insieme e in forma interdisciplinare, superando l’individualismo nel lavoro intellettuale» e sfuggendo alcune logiche autoreferenziali che talvolta esistono nelle istituzioni accademiche.cq5dam.thumbnail.cropped.1500.844

La inter- e la trans-disciplinarità, spiega ancora il Papa, devono costantemente fare riferimento alla tradizione: «L’interdisciplinarità come criterio per il rinnovamento della teologia e degli studi ecclesiastici comporta l’impegno di rivisitare e reinterrogare continuamente la tradizione. Rivisitare la tradizione! E reinterrogare».

La teologia, alla luce di quanto affermato in Veritatis gaudium, è chiamata a incamminarsi nella direzione di tutto il Popolo di Dio, raggiungendo senza paura tutte le periferie, anche quelle del pensiero, e favorendo l’incontro tra le diverse culture. E ciò è possibile attraverso alcuni presupposti: in primo luogo, occorre «partire dal Vangelo della misericordia, cioè dall’annuncio fatto da Gesù stesso e dai contesti originari dell’evangelizzazione»; in secondo luogo, «è necessaria una seria assunzione della storia in seno alla teologia, come spazio aperto all’incontro con il Signore»; terzo, «è necessaria la libertà teologica», che, lasciando spazio alla novità dello Spirito, permette di aprire nuove strade. «Infine, è indispensabile dotarsi di strutture leggere e flessibili, che manifestino la priorità data all’accoglienza e al dialogo, al lavoro inter- e trans-disciplinare e in rete».

Questo discorso di Papa Francesco è un chiaro invito rivolto a tutto il mondo della teologia a riflettere se è veramente incamminato nella direzione di una Pentecoste teologica.

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