di Francesco Romano • Non di rado persone anche qualificate e interessate a conoscere la vita della Chiesa si domandano con perplessità se essa debba necessariamente assumere la configurazione di una società giuridicamente organizzata sul modello di quelle mondane, vedendo nell’azione dello Spirito Santo l’unica guida che possa corrispondente alla sua essenza spirituale.
La costituzione dogmatica Lumen Gentium n. 8 ci presenta la Chiesa su questa terra nella sua duplice struttura, quella spirituale, per cui è “una comunità di fede, di speranza e di carità”, e quella esterna, visibile, come un organismo sociale e giuridico ordinato gerarchicamente.
Questa visione del Concilio Vaticano II sulla Chiesa, nella duplice ma unitaria dimensione, integra la sua connotazione come società giuridica con quella di comunione, sacramento di salvezza “segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (LG, nn. 1, 9).
La Chiesa è il Popolo di Dio, formata da coloro che sono incorporati a Cristo mediante il battesimo (LG, n. 31, 1, can. 204 §1), ed è costituita e ordinata nel mondo come società (can. 204 §2). La comunità di fede, di speranza e di carità è la Chiesa che si rende visibile nella comunità dei fedeli che il battesimo costituisce “persona” (can. 96).
Tra gli studiosi è controversa la questione se la socialità sia un istinto primario dell’uomo oppure sia frutto di altre necessità. Al di là di queste considerazioni, ogni uomo è un essere in grado di stabilire relazioni con gli altri secondo la sua natura. Questo elemento è strutturale, perché gli è proprio e quindi è per lui una necessità. Per Aristotele l’uomo è un “animale sociale” che tende per natura ad aggregarsi con altri uomini e a costituirsi con essi come società. È nota la massima “ubi homo ibi societas”, ma le relazioni sono sempre regolate da norme, convenzioni, consuetudini. Da qui il principio giuridico che ne deriva “ergo ubi homo ibi ius” che individua l’ordinamento giuridico quale punto basilare e imprescindibile per ogni organizzazione sociale anche la più elementare.
Lo snodo di questa premessa antropologica, per noi che riflettiamo sulla Chiesa, è dato dalla visione dell’uomo consegnataci dalla Rivelazione, cioè l’uomo creato a immagine e somiglianza di Dio, costituito persona in cui è insita la capacità di relazionarsi sul modello delle tre Persone divine alle quali alterità e comunione appartengono alla loro essenza.
L’identità relazionale dell’uomo che gli deriva dall’essere così creato non può prescindere dalla comunione che ognuno deve stabilire con il prossimo. La relazione che l’uomo vive con Dio si dispiega verso il prossimo secondo le regole della convivenza trascritte nella sua stessa natura. Essa è autentica e pienamente realizzata se conduce alla comunione. La caduta dovuta al primo peccato di ribellione a Dio determina il rifiuto del progetto divino sull’uomo, la frattura della comunione e lo scompiglio delle regole fondamentali della convivenza umana.
La storia della salvezza è la storia della restaurazione della natura dell’uomo. La relazione di comunione tra Dio e il popolo, e tra gli uomini all’interno del popolo, si realizza attraverso la Legge dell’Antica Alleanza. In Cristo, con la sua morte e risurrezione, giunge a compimento la relazione di comunione con Dio, l’uomo viene reintegrato nei suoi diritti fondamentali e recupera la dignità di figlio di Dio che va al di là di ogni distinzione di stirpe e condizione. In Cristo la giustizia evangelica è il pieno adempimento della volontà del Padre inscritta nell’Alleanza, il superamento della giustizia esteriore degli scribi e dei farisei, la carità come coronamento che instaura relazioni fraterne e fa riconoscere gli uomini quali figli dell’unico Padre. Questa rinnovata relazione tra fratelli animata dalla carità edifica la comunità stabilendo rapporti di comunione.
La capacità relazionale del fedele incorporato a Cristo con il battesimo trae origine dalla sua nuova struttura ontologica che lo costituisce persona nella Chiesa “con gli obblighi e i diritti che tenuta presente la loro condizione, sono propri dei cristiani, in quanto sono nella comunione ecclesiastica” (can. 96). L’unica e medesima appartenenza a Cristo diventa la mediazione che determina necessariamente tutte le relazioni che il fedele stabilisce con il proprio prossimo e trova concretezza nella comunione che promana dall’essere parte costitutiva del Signore, dove non c’è “nessuna ineguaglianza in Cristo e nella Chiesa per riguardo alla stirpe o nazione, alla condizione sociale a al sesso” (LG, n. 32).
I rapporti che il fedele vive all’interno della comunità ecclesiale devono essere espressione, quale sua specifica connotazione antropologica, della comunione della Chiesa “in Cristo come sacramento o segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (LG, n. 1). In essa ognuno riceve tutti i mezzi per realizzare la comunione con Dio e con gli uomini ed essere unico corpo, principalmente il battesimo con cui viene incorporato in Cristo e la partecipazione all’unico pane eucaristico quali elementi strutturali su cui Dio ha fondato la sua Chiesa.
La dimensione giuridica della Chiesa risiede nei suoi elementi strutturali fondativi, la Parola, i Sacramenti e il Carisma che sono fonte del suo ordinamento giuridico. La Parola intesa come Rivelazione o annuncio che il Signore pronuncia, oltre all’assenso, richiede obbedienza. L’annuncio della Parola si prolunga nel tempo per mandato concesso dal Signore alla Chiesa. La dimensione giuridica della Parola è insita nel carattere vincolante dell’annuncio.
Il Sacramento nella sua definizione classica è segno sensibile capace di rappresentare una realtà invisibile la cui efficacia è legata all’azione di Cristo e della Chiesa. La funzione di santificare della Chiesa viene dettagliatamente codificata nel quarto Libro del Codice di Diritto Canonico. Attraverso la dimensione giuridica e i conseguenti effetti che attua nella sua compagine sociale quale fonte di diritti e doveri, la Chiesa continuamente si ricrea come comunità e istituzioni.
Lo Spirito Santo guida e santifica il suo popolo di Dio non solo attraverso i sacramenti e i ministeri, ma distribuendo a ciascuno i propri doni rendendolo idoneo ad assumere uffici utili al rinnovamento e all’espansione della Chiesa (LG, n. 317). La dimensione carismatica della Chiesa che edifica la comunione ecclesiale, regola l’uguaglianza fondamentale dei fedeli fondata sul Battesimo nella partecipazione alla funzione profetica, sacerdotale e regale di Cristo (can. 208), ma al contempo anche la loro ineguaglianza per la diversità di vocazioni e le diverse condizioni giuridiche che ne conseguono. La dimensione carismatica è in relazione con quella sacramentale, i diversi doni danno origine ai diversi ministeri, cioè all’istituzione che comporta diritti e doveri.
La Chiesa nella sua compagine visibile è una società strutturata gerarchicamente in cui le relazioni tra i fedeli devono rispondere a regole di giustizia e carità, ma ancor di più l’esercizio della funzione santificatrice della Chiesa deve collocarsi all’interno di strutture giuridiche e pastorali.
La natura relazionale dell’uomo, che gli deriva dall’essere creatura che reca in sé l’impronta dell’immagine e somiglianza di Dio, rende ragione della necessità di vivere nella Chiesa in strutture gerarchicamente organizzate. Il diritto appartiene anche alla natura carismatica e sacramentale della Chiesa in cui i fedeli vivono i loro rapporti intersoggettivi. Gli elementi strutturali fondativi della Chiesa – Parola, Sacramenti e Carisma – preposti all’edificazione della comunione ecclesiale, vengono regolati dalla loro insita dimensione giuridica per l’esercizio delle funzioni di insegnare, santificare e di governare che le sono state affidate dal Signore e per l’esercizio delle relazioni intersoggettive dei fedeli improntate alla giustizia e alla carità.
Detto questo, possiamo rispondere affermativamente alla domanda se il diritto appartiene per sua natura alla Chiesa oppure entra a far parte di essa. Il diritto inteso non solo come codice di norme canoniche, ma più in generale come ordinamento giuridico, si completa con il diritto naturale e il diritto divino rivelato che la Chiesa recepisce dal suo Fondatore. Il fondamento ecclesiologico del diritto ecclesiale rende ragione della sua esistenza in quanto i suoi elementi strutturali essenziali individuati nella parola, nei sacramenti, nei carismi e nei ministeri instaurano relazioni tra i fedeli e generano obblighi e diritti. Per questo il diritto ha il suo fondamento antropologico “ubi homo ibi ius”, cioè appartiene alla natura dell’uomo come tale, ma appartiene anche alla natura dell’uomo creato a immagine di Dio e redento in Cristo, alla natura comunionale della Chiesa che si edifica nel rispetto di norme che regolano le relazioni tra i fedeli.