di Gianni Cioli • Desidero segnalare un libro non recentissimo ma sempre interessante, ovvero “Lo cerco dappertutto”. Cristo nei film di Pasolini (Ancora, Milano 2007) di Gabriella Pozzetto.
Il titolo riprende le parole di una lettera del regista: «Ho un’idea di Cristo pressoché inesprimibile. Potrebbe essere tutti, e infatti lo cerco dappertutto. L’ho cercato in Israele, in Sicilia, a Roma, a Milano… Ho pensato a poeti russi, a poeti americani. È forse tra i poeti che lo cerco» (p. 38). In realtà Pasolini si riferisce alla ricerca dell’attore protagonista per Il Vangelo secondo Matteo, ma per Gabriella Pozzetto questa può divenire, evidentemente, la metafora di una ricerca intellettuale ed esistenziale ben più profonda e decisiva.
La tesi dell’autrice è sintetizzata da quanto affermato nell’introduzione: «Pasolini ha riversato il suo punto di vista sul sacro dalla poesia al cinema e quando nel 1961 gira il suo primo film, Accattone, inizia la rappresentazione delle figurae Christi che culmineranno nella scelta di mettere in scena, nel 1964, Il Vangelo secondo Matteo. Nel Cristo di Matteo Pasolini fa confluire irrazionalità, mistero e tensione, azione: in filigrana l’autore rappresenta se stesso, intellettuale scomodo, ossimoro imbarazzante per l’intera geografia della cultura del suo tempo, uomo lucidissimo nel comprendere la mutazione socio-antropologica in atto, con i suoi devastanti effetti collaterali futuri. Pasolini comunque, attraverso ogni medium espressivo, non ha mai smesso di educare al vedere. E, infatti, a proposito del Cristo di Matteo e del suo Vangelo, Pasolini afferma: “Non sono venuto a portare la pace ma la spada [cf. Mt 10,34]. La chiave con cui ho fatto il film è questa, è questo che mi ha spinto a farlo”. Il Vangelo secondo Matteo diventa il film attraverso il quale vedere Pasolini e la sua produzione cinematografica. Il Vangelo inteso come cinema di poesia e cinema di realtà è simbolo della chiave di lettura del mondo che Pasolini ci presenta. Il sentimento del sacro e l’attenzione agli ultimi, in contrapposizione all’assenza del sacro nel nuovo scenario dello “sviluppo” con l’arroganza esibita dai nuovi protagonisti, sono le tematiche evangeliche, e sono presenti nei film prima e dopo Il Vangelo» (pp. 5-6).
Gabriella Pozzetto sviluppa la tesi della centralità paradigmatica del film del ’64 nel cinema pasoliniano articolando il saggio in tre capitoli, preceduti dall’Introduzione e da una Cronologia, laconica ma precisa, della vita e delle opere del regista; seguiti dalle Conclusioni, dall’apparato critico, dalla Filmografia completa, organizzata in schede, e da un cenno essenziale di Bibliografia che rimanda a repertori specialistici.
Nel primo capitolo, Pasolini e Il Vangelo secondo Matteo: cinema di realtà, cinema di poesia, si ripercorre la vicenda dell’intellettuale – poeta, scrittore e cineasta – dagli anni di Casarsa e del Friuli (1942-1945) alla realizzazione del film sul Vangelo (1964), evidenziando la continuità fra i mezzi espressivi della poesia, della narrativa e del cinema nella sua maturazione artistica. Al contempo si mette in luce la coerenza “scandalosa” fra l’interesse del regista per il sacro, il messaggio evangelico, la figura di Cristo e le sue convinzioni politico filosofiche di marxista gramsciano, sempre rivendicate anche quando il suo partito lo sconfessava. Si sottolinea l’importanza della collaborazione con l’associazione Pro civitate christiana nel vivo del clima conciliare e la grande fascinazione esercitata su Pasolini dalla figura di Giovanni XXIII, alla cui memoria, «cara, lieta e familiare», Il Vangelo secondo Matteo è dedicato. Alla fine del capitolo è offerto ampio spazio all’interpretazione delle sequenze più importanti del film, con la descrizione, fra l’altro, delle innovative tecniche di ripresa utilizzate e la sottolineatura della qualità colta delle frequenti citazioni cinematografiche e pittoriche, nonché della scelta dei brani musicali per la colonna sonora. Si mette in luce la singolare capacità del film di esprimere il percorso umano e intellettuale del regista e se ne evoca la portata autobiografica: «Il sacro, il mistero, l’azione e la parola sferzante di Cristo vengono espressi da Pasolini con una miscellanea unica di stili e di musiche che offrono la possibilità a chiunque di vedere, di trovarsi e di riconoscersi, e spesso la figura di Cristo appare essere uno specchio anche per la figura del poeta. Dal momento in cui Cristo entra in Gerusalemme sembra esserci una sorta di riconoscimento più ravvicinato tra Pasolini e Cristo, culminante nella scelta “profetica”, alla luce dei tragici fatti di Ostia, di sua madre anziana, per la parte di Maria» (p. 50). Il capitolo si conclude con una significativa testimonianza del travaglio interiore di Pasolini attraverso la citazione di una sua lettera a don Giovanni Rossi, presidente della Pro civitate christiana, scritta nel Natale del ’64 all’indomani della realizzazione del film, in cui il regista descrive la propria irresolutezza nei confronti della fede evocando la caduta di Paolo sulla via di Damasco: «Forse perché io sono da sempre caduto da cavallo: non sono mai stato spavaldamente in sella (come molti potenti della vita, o molti miseri peccatori): sono caduto da sempre, e un mio piede è rimasto nella staffa, così che la mia corsa non è una cavalcata, ma un essere trascinato via, con il capo che sbatte sulla polvere e sulle pietre. Non posso né risalire sul cavallo degli Ebrei e dei Gentili, né cascare per sempre sulla terra di Dio» (p. 54).
I due capitoli successivi s’intitolano rispettivamente I film prima del Vangelo e I film dopo il Vangelo e presentano, contestualizzandoli attraverso un’accurata documentazione, i titoli più significativi della filmografia pasoliniana soprattutto in relazione al tema del sacro. Il secondo capitolo prende in esame Accattone (1961), Mamma Roma (1962) e La ricotta (1963). Il terzo presenta Uccellacci e uccellini (1966), Edipo re (1967), Teorema (1968), La sequenza del fiore di carta (1968-1969), Porcile (1968-1969), Medea (1969-1970), «La trilogia della vita» (Il Decameron [1971], I racconti di Canterbury [1972], Il fiore delle Mille e una notte [1974]) dalla quale nel 1975 il regista prese le distanze scrivendo un’Abiura e, infine, Salò o le 120 giornate di Sodoma che uscì dopo la tragica morte di Pasolini, ferocemente ucciso il 2 novembre 1975 sul lido di Ostia.
Il senso della successione dei capitoli è ben illustrato dall’autrice: «L’elemento sacro non si disgiunge mai da Pasolini, egli inizia nella poesia con la rappresentazione di una vita intrisa di religiosità e quando sceglie il cinema compie un percorso che ha come meta l’unico grande testo sacro ispiratore della sua vita: il Vangelo. Ecco perché qui si è scelto di parlare del Vangelo secondo Matteo non in ordine cronologico, perché questo film è il punto focale, inconscio e conscio, di tutta la sua produzione, o meglio della sua esistenza. I film prima del Vangelo sembrano infatti arrivare a questo specifico obiettivo, e i film successivi hanno la connotazione della perdita di quel riferimento, che poi è la semplice lettura della realtà senza Cristo». Nel cinema realizzato dopo Il Vangelo, infatti, «la vitalità iniziale del poeta» si trasforma, negli anni, «in un “tetro entusiasmo” davanti alla realtà dello scenario sociale, che è anche il nostro presente» (p. 28).
Gabriella Pozzetto, pur senza negare indubbi elementi di discontinuità, offre una lettura che mette in evidenza la continuità nei differenti periodi del cinema pasoliniano, basandosi anche su esplicite affermazioni del regista che spingono in questa direzione: «Io non vedo differenza tra l’Edipo e Medea; non vedo differenza nemmeno tra Accattone e Medea, e non vedo differenza tra Il Vangelo e Medea. Praticamente un autore fa sempre lo stesso film, per almeno un lungo periodo della sua vita, come uno scrittore scrive sempre la stessa poesia» (p. 7). La tesi della continuità può certamente essere discussa. Altri studi (cf. T. Subini, La necessità di morire. Il cinema di Pier Paolo Pasolini e il sacro, Roma 2007) sottolineano piuttosto la cesura intercorsa fra il periodo legato al film sul Vangelo – connotato dal rapporto con la Pro civitate christiana – e il periodo successivo. Il saggio della Pozzetto risulta comunque un’opera di grande interesse, condotta con intelligenza, rigore e passione, scritta con uno stile accessibile e con un tono carico d’empatia. . Il merito maggiore dell’autrice è l’essere riuscita a privilegiare la testimonianza diretta del cineasta, quale interprete di se stesso, dandogli voce attraverso la citazione di lettere, articoli e interviste, ottenendo alla fine una sorta di antologia autobiografica, puntuale e coinvolgente.
Per la capacità di entrare con empatia nella complessità ossimorica (cf. pp. 27-28) del regista e grazie anche agli apparati di complemento, il libro appare una lettura assai utile non solo a chi è interessato al tema di Cristo nel cinema ma anche a chi volesse avvicinarsi per la prima volta alla figura e all’opera di Pasolini.