«Verso il compimento della salvezza nella tradizione ortodossa di Kallistos Ware». Sottolineature ontologiche
theologumena formulati – dell’Ortodossia circa la questione della salvezza e mostrano come – e in che termini – essa sia l’oggetto centrale di tutta la Rivelazione e dell’economia salvifica. Michelina Tenace nella Prefazione osserva – richiamando le parole di teologi, come Luis F. Ladaria, e magisteriali, come quelle del recente documento della Congregazione per la Dottrina della Fede Placuit Deo – come sia proprio sulla ricomprensione di tale punto che la chiesa cattolica romana si debba soffermare e come questa possa riconoscere nella prospettiva patristico-orientale – richiamando, questa volta, studiosi dell’Ortodossia come Basilio Petrà – il «ruolo fondamentale» che quest’ultima ha svolto e può tornare a svolgere in ordine all’avvicinamento di tale obbiettivo.
unità corpo-anima-spirito all’anima forma del corpo; quello di astrazione dell’essere umano dalla storia e dal creato. Non è poco. Il primo slittamento sembra rivelare l’avvenuta crisi della comprensione della relazione ontologica con Dio: la perdita della centralità della persona quale essere personale costituito (creatura) nella libertà da un essere personale libero-relazionale, quello divino trinitario, porta prima allo scollamento tra la persona e la sua natura, poi al prevalere di quest’ultima sulla prima; la natura spersonalizzata, de-relazionalizzata, necessita la persona, e ciò avviene nel male, vivere necessariamente per/nella morte, ma anche nel bene, un bene come realizzazione nella persona dei dettami di tale natura che, ormai spersonalizzata prefigge, necessita, valori (spersonalizzati) da raggiungere mediante un qualche auto-trascendimento del sé che, individualizzato, tale rimane, così come accade nell’ethos della grecità classica o nella devozione moderna. In questo slittamento la relazione con Dio è stabilita solo nell’ordine morale. La natura compiuta in sé – l’ottimistica fiducia scolastica (non tommasiana) nell’ordo naturalis, verso la quale Benedetto XVI recentemente ha messo in guardia, cf. Liberare la libertà, Cantagalli, Siena 2018, 9-15 – razionale non-relazionale, e quindi “atomizzata” – per dirla con Christos Yannaras – deve, o può, raggiungere Dio primariamente nell’interiorità della soggettività e vi riesce per le sue forze (Pelagio) o per l’aiuto interiore offertole dalla grazia (Agostino): si è passati così – scrive Tenace riprendendo Gisbert Greshake – dalla dottrina della salvezza alla teologia della grazia. Il secondo slittamento rivela la crisi nel concepire la relazione – sempre ontologica – dell’uomo con se stesso: la perdita della visione globale della persona quale unità spirituale-materiale – unità che dice che l’un termine non solo si esprime con l’altro e per mezzo dell’altro ma in forza della comunione con l’altro – porta alla concezione antropologica nichilista, di platonica e manichea memoria, ma, in fin dei conti anche aristotelica, per cui l’anima si deve liberare dal corpo per essere realmente: per affermarmi devo distruggermi, come già aveva colto Fëdor Dostoevskij ne I demoni. Il terzo slittamento rivela, infine, l’incapacità di intendere la relazione – ancora ontologica – della persona con i soggetti con i quali condivide la natura – gli altri uomini – e la creazione e la storia: l’uomo si salva a prescindere dal mondo, anzi, dal mondo, proprio da quell’opera – poli-ipostatica e pertanto relazionale-comunionale – di Dio presentata dalla Scrittura come “molto buona”.
In definitiva, l’uomo si afferma ontologicamente senza il Dio “personale” (così come si passa dal primato ontologico della persona umana a quello della natura umana così avviene anche nel caso della Persona Divina e della natura divina), senza se stesso, senza gli altri. E dato che questi constata che non riesce in tale impresa cerca di individuare per come può, per come la sua natura spersonalizzata glielo consente, una soluzione a tale dramma: una soluzione giuridica, uno sconto di pena per i suoi peccati e per quello di Adamo, e lo trova per lo più in un’idea di “sostituzione”. È a questo punto che manifesta tutto il suo valore la prospettiva orientale di cui non voglio richiamare, delle considerazioni di Ware, che alcuni elementi essenziali, sottolineandone il dato ontologico e sperando di invitare così chi legge ad avventurarsi nello spazio teologico-teologale che essa dischiude.
L’Autore, al fine di risolvere il problema della tragedia umana e quello a questa connesso, cioè della salvezza, riafferma innanzitutto l’unicità, l’indivisibilità e l’unitarietà del mistero della salvezza. Non vi è adeguata riflessione soteriologica che riduca l’attenzione agli aiuti interiori, al fine di compiere atti meritori, offerti all’uomo da parte di una grazia compresa considerando magari unicamente l’evento della croce di Cristo che giustifica, senza chiarire la santificazione-trasfigurazione dell’essere (personale) dell’uomo o senza la sua libera partecipazione ad essa: vi è la storia della salvezza che, unitariamente e interamente considerata, apre alla comprensione della vita divina quale mistero d’amore trinitario, libero e “alterizzante”, la quale dischiude, non solo alla ratio ma all’esistenza, un’ontologia quale ontologia della persona, dell’alterità, dell’identità, della libertà, il tutto all’insegna della comunione, che è ciò che si invera nella vita nello Spirito Santo, soprattutto nei sacramenti, azioni-eventi in cui la comunione tra gli uomini tra loro e con la creazione e in virtù di essa è in/da Dio costituita ontologicamente e ciò realizza in questi il loro costitutivo ontologico di “persona”.
Ap 21,1) che, sottomessa alla caducità, attende la sua liberazione proprio dalla «manifestazione dei figli di Dio» (cf. Rom 8,19-23), della persona: è questo il senso della figura teologica rilevante per l’Oriente dell’uomo sacerdote della creazione che – come si ricorda della visione di san Massimo il Confessore – porta tutte le cose divise in unità e così le restituisce a Dio creatore.