Sinodalità e presenza del Risorto

353 500 Alessandro Clemenzia
  • 0

cq5dam.web.800.800di Alessandro Clemenzia È uscito recentemente un documento della Commissione Teologica Internazionale, che vuole mettere a punto un tema di grande attualità, e che – soprattutto alla luce dell’attuale pontificato – è veramente tornato in auge: la sinodalità. Quest’ultima – come ha affermato Papa Francesco nel suo Discorso in occasione della Commemorazione del 50.mo anniversario dell’Istituzione del Sinodo dei Vescovi (17 ottobre 2015), ispirandosi a un’affermazione di San Giovanni Crisostomo, secondo il quale “Sinodo è il nome della Chiesa” – viene compresa come “una dimensione costitutiva della Chiesa” o anche come il suo DNA.

Proprio per l’importanza che viene attribuita alla “sinodalità”, e per il kairós che essa rappresenta nell’odierno scenario ecclesiologico, la Commissione Teologica Internazionale ha sentito il bisogno di approfondire questa parola-chiave, sviscerandone il significato più profondo. L’intento che ha mosso il presente documento, infatti, è stato proprio quello di «offrire alcune linee utili all’approfondimento teologico del significato di quest’impegno insieme a qualche orientamento pastorale circa le implicazioni che ne derivano per la missione della Chiesa» (n. 2).

Più che presentare i contenuti essenziali dell’intero documento, ciò su cui vorrei soffermare l’attenzione in particolare è il quarto ed ultimo capitolo, intitolato “La conversione per una rinnovata sinodalità”: in esso viene illustrata una strada da percorrere attraverso cui è possibile arrivare ad un’acquisizione, interiorizzazione e maturazione del concetto preso in esame. Si tratta di una conversione che scaturisce da una spiritualità non individuale ma comunitaria.

La sinodalità, infatti, prima ancora che su di un riferimento strutturale, punta sull’acquisizione di nuove procedure che possano coinvolgere il più possibile le diverse espressioni del Popolo di Dio. Per raggiungere tale obiettivo è opportuno recuperare il significato primariamente teologico di “sinodalità”, in quanto essa fa riferimento in particolare alla presenza di un Dio che abita non al di “sopra”, ma “in mezzo” al suo Popolo. Tale modalità divina di presenza trova in Cristo il compimento del suo destino e della verità che la inabita; due sono le citazioni bibliche tracciate dal documento: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, Io sono in mezzo a loro» (Mt 18,20), «ecco Io sono con voi sino alla fine del mondo» (Mt 28,20).

Secondo questa accezione, la sinodalità è una forma realmente “ecclesiale”, che trova nella presenza di Cristo in mezzo ai suoi la sua più autentica condizione di possibilità. Se questo è vero, la grande domanda che si deve porre oggi la Chiesa, prima ancora di chiedersi come riorganizzare delle strutture capaci di esprimere l’essenza della Ecclesia, è come poter generare quotidianamente la presenza di Cristo, in modo tale che sia Cristo stesso a rendersi presente: si tratta della così denominata representatio Christi, che più di una semplice “rappresentazione”, ha a che fare con una “ripresentazione” di Cristo.

È in virtù di questa presenza di Dio in mezzo al suo Popolo a provocare costantemente la Chiesa a una «“conversione pastorale e missionaria”, consistente in un rinnovamento di mentalità, di attitudini, di pratiche e di strutture, per essere sempre più fedele alla sua vocazione» (n. 104).

Tale conversione volta all’attualizzazione della sinodalità, secondo il documento della CTI, deve essere innervata da una spiritualità di comunione, capace di assumere paradigmi nuovi, in risposta alle esigenze dell’uomo contemporaneo. Quando si parla di “comunione” (lemma che ormai è stato eccessivamente usato nei più diversi ambiti del sapere), non fa riferimento a un sistema meramente sociologico, ma si attua attraverso la grazia che scaturisce dal Battesimo e dall’Eucaristia: questi sacramenti, su una dimensione tanto comunitaria quanto individuale, inverano il passaggio ontologico ed esistenziale dall’io al noi, vale a dire «il transito pasquale dall’”io” individualisticamente inteso al “noi” ecclesiale, dove ogni “io”, essendo rivestito di Cristo (cfr. Gal 2,20), vive e cammina con i fratelli e le sorelle come soggetto responsabile e attivo nell’unica missione del Popolo di Dio» (n. 107).

La relazione tra l’io e il noi è in realtà una sorta di irradiazione di Cristo nei suoi discendenti: più di un semplice prolungamento di Uno negli altri, è una vera e propria “cristificazione”: ciascuno (l’io) diventa Cristo, per divenire tutti insieme (il noi) l’unico Cristo. Ed è questa dinamica cristica a offrire un modo nuovo di guardare la realtà; afferma il documento: «Si tratta di esercitare “un modo relazionale di guardare il mondo, che diventa conoscenza condivisa, visione nella visione dell’altro e visione comune su tutte le cose” (n. 111). Vengono qui menzionate due differenti modalità di sguardo, che esprimono due diverse dinamiche relazionali: “una visione nella visione dell’altro” e “una visione comune”. Nella prima, l’io guarda la realtà con lo sguardo del suo tu; nel secondo, invece, i due (l’io e il tu) sono capaci di guardare in unità verso un’unica direzione.

image_pdfimage_print