di Francesco Vermigli • Quando si pensa a Benedetto da Norcia, non v’è chi non abbini tale nome alla Regula. Associazione mentale necessaria, si dirà; eppure, chi voglia verificare quale significato abbia avuto la sua vita per l’epoca a lui contemporanea, da un tale testo normativo non potrà trarre indicazioni utili; com’è del resto ovvio. Quali siano le origini di Benedetto, quali le tappe della sua biografia religiosa e quale significato essa abbia rivestito per il mondo del VI secolo lo si apprende piuttosto dai Dialogi di papa Gregorio Magno; testo cui accennammo nell’articolo sul grande pontefice uscito in questa rivista online nel settembre del 2014 (Gregorio Magno e la fine del mondo antico). La nostra attenzione si volge dunque ora a questo scritto, che dedica interamente il proprio secondo libro alla vita del santo di Norcia.
L’opera ha un carattere – ça va sans dire – dialogico: ha cioè la forma di un colloquio tra lo stesso Gregorio e il diacono Pietro, che nel corso del testo sottopone al pontefice domande e curiosità. L’entrata della figura di Benedetto nell’opera avviene ex abrupto, quasi l’autore volesse far passare tutta l’urgenza della presentazione di un tale uomo. Con il secondo libro dei Dialogi siamo introdotti in una realtà fatta di pratiche ascetiche rigorose e di episodi miracolosi. Sulla scena di questo colloquio compaiono barbari goti e monaci, vescovi e pellegrini; al centro austero e ben saldo spicca sempre Benedetto. I racconti si intrecciano e si richiamano: i miracoli hanno a che fare così strettamente con la vita ordinaria, che il lettore è chiamato a gustare la presenza costante e appunto “ordinaria” di Dio.
Ma Gregorio introduce nell’opera anche il tema a lui carissimo della profezia, a seguito della domanda che Pietro gli rivolge se Benedetto fosse sempre “di spirto profetico dotato” – per dirla con l’Alighieri – o godesse di grazie puntuali. Un buon conoscitore delle opere di Gregorio sa che quando il papa tratta della profezia, si è posti di fronte alla categoria-chiave della sua teologia della storia. La profezia è per il grande pontefice la testimonianza del primato di Dio sulla storia; in particolare, è il praedicator che è chiamato costitutivamente a segnalare con l’annuncio tale primato. Nel corso del racconto ci si imbatte in un miracolo diverso dagli altri, perché rispetto agli altri trasmette un’idea di mondo e di storia del tutto particolare: «D’un tratto […] Benedetto scorse una luce scendente dall’alto che fugava la densa oscurità e diffondeva un chiarore così intenso da superare persino la luce del giorno. In questa visione avvenne un fenomeno meraviglioso, che lui stesso poi raccontava: fu posto davanti ai suoi occhi tutto intero il mondo, quasi raccolto sotto un unico raggio di sole. Mentre contemplava con lo sguardo gli splendori di quella luce smagliante, vide l’anima di Germano, vescovo di Capua, trasportata dagli angeli, raccolta in un globo di fuoco». Benedetto ha una visione, una luce improvvisa e davanti ai suoi occhi il mondo intero e il vescovo Germano che ascende in cielo.
Che cosa si cela dietro un tale linguaggio? Gregorio vuole mostrare come all’asceta sia concesso di abbracciare con un solo sguardo il mondo, perché egli è totalmente in Dio. Solo colui che è in Dio partecipa della signoria di Dio sull’intero creato; mentre nel movimento di Germano verso il cielo si legge come tutto il creato a Dio dovrà ritornare. Il mondo e la storia, il tempo e lo spazio sono di Dio e a Dio dovranno essere ricondotti: è, questo, il linguaggio del primato teo-logico; il linguaggio della profezia, che Gregorio consegna nella figura di Benedetto ad un’epoca dilaniata da guerre e carestie e ormai privata della sicurezza che il mondo precedente derivava dalle antiche e solide istituzioni romane.
Nel corso degli ultimi decenni Benedetto ha conosciuto fortune storiografiche non piccole: si è letto in lui l’organizzatore sapiente della vita religiosa, ma lo si è inteso anche come colui che ha salvato l’Europa dalla catastrofe culturale e civile; dal momento che alla sua Regula si è ispirato un reticolato di monasteri diffuso nell’intero continente. C’è da chiedersi se nella lettura che Gregorio dà di Benedetto, non si debba intendere un’altra applicazione della figura del santo al nostro tempo. Il nostro mondo – per dirla con papa Francesco – vive un “cambiamento d’epoca”, simile a quello che visse l’Europa greco-romana e cristiano-germanica nei decenni in cui vissero Benedetto e Gregorio. Anche nella nostra epoca dovrà tornare la profezia? Anche nella nostra epoca dovranno tornare uomini che come Benedetto richiamino il mondo al primato e alla signoria di Dio? Nei passaggi più critici della storia del nostro mondo cristiano è accaduto che siano sorti uomini illustri per elevatezza spirituale e per guida profetica. Uomini pacificati, capaci di infondere speranza e fiducia, perché consapevoli che la storia è nella mani di Dio. Forse col Renzo del Manzoni, un giorno dovremo tornare a dire: “la c’è, la Provvidenza!”.