I rischi di una nuova crisi del debito estero come negli anni ‘80
Oltre allo shock petrolifero che produsse un aumento del greggio di oltre 20 volte rispetto al prezzo precedente e dunque un brusco rialzo del costo delle importazioni, concorsero allo sviluppo della crisi debitoria altri due fenomeni che si rivelarono devastanti per le finanze di questi stati. Il primo fu il crollo dei prezzi delle materie prime, di cui questi paesi erano principali esportatori, a seguito del crollo della domanda provocato dalla crisi energetica e, dunque, il crollo delle entrate necessarie per il rimborso dei debiti.
Il secondo fu lo svilupparsi delle politiche di ispirazione monetarista degli Stati Uniti e della Gran Bretagna che fecero impennare il livello dei tassi di interesse e produssero un forte apprezzamento del dollaro rispetto a tutte le altre monete, in particolare rispetto a quelle delle economie fragili.
Il tutto si concretizzò nell’“esplosione” dei costi di indebitamento e nell’elevatissimo costo delle importazioni e del fabbisogno finanziario, a fronte dei quali le entrate derivanti dalle esportazioni furono del tutto insufficienti tanto che il Messico, inevitabilmente, nell’estate del 1982 dichiarerà l’impossibilità di pagare i propri debiti. A ruota altri debitori, in un inatteso effetto domino, diffuso soprattutto in America Latina, si dichiarano insolventi facendo scoppiare la crisi del debito internazionale.
Il recente studio presentato lo scorso ottobre dal “Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo” (UNDP) intitolato «Avoiding: too little, too late» (Troppo poco e troppo tardi per evitarlo) ci avverte che il debito dei Paesi più poveri tra quelli in via di sviluppo è tornato a essere ad alto rischio, soprattutto a seguito della nuova crisi energetica legata al gas, combinata con i provvedimenti monetari di contrasto all’inflazione delle Banche Centrali di Stati Uniti e Unione Europea.
Infatti, nonostante l’adozione a cavallo dell’anno 2000 dei programmi per la riduzione del debito, in molti casi diventato impagabile, dei Paesi Poveri Altamente indebitati (HIPC) poco o niente è stato risolto e il numero dei paesi a elevato indebitamento, secondo il menzionato Rapporto, è passato, dai 36 del 1999 ai 54 di oggi, di questi 26 sono classificati a «rischio sostanziale, estremamente speculativo o insolvenza».
Sono considerazioni che fanno eco ai ripetuti richiami del Magistero sociale della Chiesa per una remissione del debito, una effettiva equità ed una maggiore solidarietà nei rapporti tra tutti i Paesi, a contrasto di quell’«imperialismo internazionale del denaro» denunciato da Quadragesimo anno (n. 108) già nel 1931, che è uno dei fattori che hanno portato alla crisi debitoria degli anni ’80 e di quella che si sta profilando all’orizzonte, con il rischio di rendere ancora più difficile la conquista della pace tra i popoli, oggi pericolosamente minacciata.