Perchè serve una cultura che promuova la natalità
Avere mezzo milione di nati in più vuol dire inserire iniezione di futuro e far dimenticare il presente, tratteggiato con incisività da Bergoglio: da una parte, lo “smarrimento per l’incertezza del lavoro”, dall’altra, i “timori dati dai costi sempre meno sostenibili per la crescita dei figli” e la “tristezza” per le donne “che sul lavoro vengono scoraggiate ad avere figli o devono nascondere la pancia”. Sono tutte “sabbie mobili che possono far sprofondare una società” e che contribuiscono a rendere ancora più “freddo e buio” quell’inverno demografico ormai costante in Italia, che “si trova così da anni con il numero più basso di nascite in Europa, in quello che sta diventando il vecchio Continente non più per la sua gloriosa storia, ma per la sua età avanzata”.
Emerge dunque l’importanza di coniugare famiglia-lavoro, dopo aver constatato che i lavoratori sostenuti a livello familiare siano più produttivi. C’è, quindi, anche un discorso culturale da portare avanti, sostenendo il piano di Papa Francesco per un Patto educativo globale. La scuola italiana ha molti problemi ma anche molte risorse. È dopo la famiglia la prima comunità che i bambini incontrano ed è l’unica istituzione che li vede diventare ragazzi, adolescenti e infine giovani, donne e uomini. E’ un’istituzione che li accompagna nella trasformazione di corpo e mente e deve insegnare come vivere anche il dolore. La grande sfida per cambiare l’Italia deve partire proprio dalla Scuola e dall’Università, che devono ricostruire un sapere. Avendo ben presente la realtà delle tante famiglie che in questi lunghi mesi di pandemia hanno dovuto fare gli straordinari, dividendo la casa tra lavoro e scuola, con i genitori che hanno fatto da insegnanti, tecnici informatici, operai, psicologi. Senza dimenticare i sacrifici dei nonni, “scialuppe di salvataggio delle famiglie” nonché memoria che ci apre orizzonti più rassicuranti.