«Il mio viaggio con padre Alexander» L’esperienza della vita e della teologia nei diari di Juliana Schmemann
In non molte pagine si è immersi nelle vicende di Juliana e Alexander, dei loro genitori, nonni, figli e nipoti, che trasportano chi legge dall’Europa dell’est della Prima Guerra Mondiale alla Francia della Seconda Guerra Mondiale e del dopo guerra agli Stati Uniti d’America quasi dei giorni nostri. Sono presentati con toni vivi i drammi delle guerre, le difficoltà dell’emigrazione, ma anche la luce che scaturisce dalla fede, vissuta nella famiglia e nella liturgia, oltre che il realizzarsi, in mezzo a queste circostanze, dei disegni di Dio, sorprendentemente rilevanti per la Chiesa e il mondo.
Tutto è carico di disarmante umanità. La teologia, per Alexander Schmemann, altro non era che l’unica cosa che, forse, dovrebbe essere: l’esposizione, più o meno sistematica, dei contenuti dogmatici appresi nell’esperienza personale come Chiesa, e riconoscibile nel suo statuto servile nei confronti della comunità cristiana e della famiglia umana.
«Un giorno Alexander stava camminando lungo una strada di Harlem quando un mendicante gli si avvicinò. Era un grosso uomo di colore e chiaramente una persona gentile. “Padre, la prego, vorrei parlarle”. Alexander allungò la mano alla tasca, gli porse degli spiccioli e gli disse di comprarsi un caffè e del cibo. “No, no, padre”, disse l’uomo, “Non mi servono i suoi soldi, voglio solo parlare con lei”. Allora Alexander lo portò in un caffè e gli chiese: “Dunque, di cosa vuole parlare?”. Più tardi Alexander raccontò che c’era una premura nella sua voce. “Padre, mi spieghi la Santissima Trinità. Chi sono e perché sono tre?”. Alexander non dimenticò mai questa conversazione. La considerava l’incontro teologico umano e divino più significativo della sua vita».