Il virus e il «terzo sigillo» dell’Apocalisse
di Stefano Tarocchi · Riflettendo sulle molte contraddizioni del tempo difficile che stiamo attraversando, mi sono tornati in mente alcuni passi del libro dell’Apocalisse di Giovanni, e, in particolare il “terzo sigillo”, che evoca alcuni tratti dell’attualità per darne una lettura ai credenti. Userò qui la traduzione palpitante del commento al libro di Giovanni del padre Ugo Vanni, mio antico maestro.
Ben “sette sigilli” tengono ermeticamente chiuso un “libro” (o “rotolo”), scritto «dentro e sul retro”, che si trova nella mano destra di Colui che nella visione di Giovanni è seduto sul trono: lo stesso Iddio (Ap 5,1): nel linguaggio dell’Apocalisse tutto questo indica il dominio totale divino sulle vicende umane.
L’immagine di questo “rotolo” (o “libro”) offre ai credenti un messaggio di grande speranza. Infatti, anche se la visione di Giovanni specifica che questo rotolo non può essere “aperto né guardato … né in cielo, né in terra, né sottoterra” da nessuno, ecco che entra in scena il «Leone della tribù di Giuda» per ricevere il rotolo dalla mano di Dio.
Questi nient’altri è che lo stesso Cristo, identificato significativamente nel simbolo di «un Agnello in piedi come ucciso» (5,6): l’immagine richiama la vittoria di Gesù sulla morte, dopo la passione. Questo Agnello «aveva sette corna e sette occhi: i sette Spiriti di Dio»: la forza invincibile del Cristo, che gli fa vincere tutto ciò che è negativo nella storia umana, e dona ad ogni uomo la pienezza dello Spirito.
I sette sigilli vengono aperti uno dopo l’altro dall’Agnello – l’unico degno di farlo, come canta la liturgia celeste descritta da Giovanni – fino al settimo, che nasconde un contenuto ulteriormente evocativo.
L’affascinante simbologia dell’Apocalisse si arricchisce sempre più, finché arriviamo alla descrizione del terzo sigillo: «e quando [l’Agnello] aprì il sigillo, il terzo, udì il terzo vivente [“che aveva l’aspetto come di uomo”] che diceva: “Vieni”. E vidi ed ecco un cavallo nero e colui che stava seduto su di esso aveva una bilancia nella sua mano e udii come una voce in mezzo ai quattro viventi che diceva: “Una misura di grano per un denaro e tre misure d’orzo per un denaro ma non danneggiare l’olio e il vino”» (Ap 6,5-6).
Il colore nero esprime la totale negatività delle vicende umane. E capiremo a breve perché.
Una misura di grano, per avere un’idea, corrisponde esattamente a poco più di un litro: un po’ bizzarro per noi mai è così. Un denaro, costituito da un pezzo d’argento, era il salario di una giornata di lavoro (Mt 20,2). Il normale rapporto tra denaro e misura di grano – ossia il prezzo corrente del grano –, era di un denaro per 12 misure di grano (corrispondenti a circa 13 litri). Il rapporto tra denaro e misura di orzo era, invece, di un denaro per 24 misure di orzo (corrispondenti a circa 26 litri).
Nel terzo sigillo si descrive un totale rovesciamento, nel segno della negatività più drammatica, come può accadere nei tanti passaggi della storia degli uomini: si giunge addirittura ad un denaro per una misura di grano, e a un denaro per tre misure di orzo. Ora, il grano, e soprattutto l’orzo, erano prodotti di prima necessità, come ci dicono i testi evangelici: ecco i cinque pani d’orzo del racconto della moltiplicazione dei pani (Gv 6,9.13). La bilancia su cui si stabiliscono quanto grano e quanto orzo si possono acquistare con un denaro diventa così elemento capace di generare una forte ingiustizia sociale, con un impatto dirompente nella vita quotidiana purtroppo non troppo raro. Il risultato è la fame dei poveri, segno di una odiosa iniquità.
Per di più, al tempo stesso, quelli che al tempo erano considerati beni di lusso (l’olio e il vino) non vengono “infettati” dalla stessa ingiustizia – è il significato letterale del verbo greco usato –, rispetto ai beni di prima necessità, più accessibili a chi ha poche risorse. Questo significa i potenti, come tante volte nel percorso della storia, passati e presenti, non hanno di che preoccuparsi. Così il “terzo sigillo” prefigura una convivenza umana in cui la pace sociale viene gravemente turbata, segno di tempi difficili, e molto difficili.
E qui spunta il virus e tutte le contraddizioni che questa peste mette in luce: se nella storia dell’umanità ci sono situazioni ingovernabili e senza apparente via d’uscita, possiamo amaramente constatare che ci sarà sempre un paracadute per chi può permettersi non solo di salvarsi comunque ma anche di arricchirsi sulle disgrazie altrui.
Pensiamo, per rimanere alla stretta attualità, ai prezzi di prodotti medicali, dai farmaci ai disinfettanti, dalle mascherine ai futuri vaccini, su cui speculano e scommettono multinazionali e governi. Ma anche, oltre ai perversi effetti delle leggi della domanda e dell’offerta, e l’atteggiamento dei paesi di un “certo nord” dell’Unione Europea, con tutte le loro incoerenze, e, ancora le grettezze di quanti usano il potere per sé stessi e i loro simili, ritenendosi esenti dalle regole che impongono agli altri.
Ebbene, quando nelle vicende umane si trovano situazioni che invocano l’intervento divino, questo è già in atto, e i credenti e tutti gli uomini di buona volontà non dovrebbero mai dimenticarlo.
Il libro dell’Apocalisse ce lo rivela appieno già con il primo dei sette sigilli: «e vidi, quando aprì l’Agnello il primo dei sette sigilli, e udii il primo dei quattro viventi che diceva – come una voce di tuono: – “Vieni!”. E vidi ed ecco un cavallo bianco e colui che era seduto su di esso aveva un arco e gli fu data una corona ed egli uscì vittorioso per riportare vittoria» (Ap 6,1-2).
Lo stesso colore bianco della risurrezione, un simbolo del tutto nuovo coniato nell’Apocalisse, si trova ancora nella successiva immagine del cavaliere dei capitoli finali del libro: «e vidi il cielo aperto: ed ecco un cavallo bianco e colui che vi siede sopra è chiamato Fedele e Veritiero e giudica e combatte nella giustizia. Gli occhi di lui (sono) fiamma di fuoco e sulla testa molti diademi, (lui) che ha un nome scritto, che nessuno sa se non lui. Ed è avvolto di un vestito immerso nel sangue e il suo nome è stato e rimane chiamato: la Parola di Dio. E gli eserciti del cielo lo seguivano su cavalli bianchi vestiti ciascuno di lino bianco puro. E dalla bocca di lui esce una spada acuta perché colpisca con essa le genti ed egli li pascerà con verga di ferro ed egli calca il tino del vino dell’ardore dell’ira di Dio l’Onnipotente. E ha sul manto, sul femore, un nome scritto: “Re dei re” e “Signore dei signori”» (Ap 19,11-16).
E proprio “Re dei re” e “Signore dei signori” è scritto sul balcone del Palazzo della Signoria a Firenze.