Diamo ad Enea ciò che è di Enea ed a Gesù quello che è di Gesù. Un riflessione su quello spirito di Carità che «ci spinge».

563 500 Stefano Liccioli
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buon_samaritanodi Stefano Liccioli · In questi ultimi mesi per spiegare la differenza tra lo stato sociale italiano rispetto a quello di altri Paesi, in particolare anglosassoni, alcuni opinionisti hanno fatto riferimento alla storia di Enea che, scappando dalla città di Troia in fiamme, caricò sulle proprie spalle il vecchio padre Anchise. Enea, che secondo i poemi classici avrebbe dato inizio alla civiltà latina, con questo suo gesto ispirerebbe ancora oggi la cura e l’attenzione a malati ed anziani (in particolare ad anziani ammalati) che caratterizzano il Welfare italiano.

L’interpretazione è suggestiva e non può far che piacere a chi, come me, ha sempre apprezzato la cultura classica. Ma un’analisi seria della questione merita che si faccia riferimento non alle leggende, ma alla storia e la storia ci dice che la carità, nel senso che attribuiamo a questo termine nel mondo occidentale, affonda le sue radici nel Cristianesimo e non nel paganesimo, nella scuola di Gesù e non in quella di Enea.

Per evitare che il mio discorso sia tacciato di mera apologetica (anche se non vedo che male ci sia nel voler difendere la verità), faccio riferimento ad alcuni eventi storici.

Nel II secolo d.C. Cipriano, il vescovo della città nordafricana di Cartagine (proclamato poi santo e padre della Chiesa), rimproverò la popolazione pagana che non solo non aiutava le vittime della peste, ma preferiva depredarle. D’altra parte il Vescovo incoraggiava i cristiani a curare i malati ed a seppellire i morti, anche qualora questi fossero stati loro persecutori, visto che era l’età delle persecuzioni dei seguaci di Cristo. Affermava Cipriano a tal proposito:«Se facciamo del bene solo a quanti ci fanno del bene, che cosa facciamo più dei pagani e dei pubblicani? Se siamo figli di Dio, che fa brillare il suo sole sul bene e sul male, dimostriamolo con i nostri atti facendo il bene a coloro che ci perseguitano».

Una situazione simile ad Alessandria nel III secolo d.C. quando, durante un’epidemia di peste, il Vescovo Dionisio raccontò che i pagani «misero da parte chiunque cominciasse a stare male e si tennero lontani perfino dagli amici più cari, scaraventarono quelli che soffrivano, moribondi, sulle strade pubbliche e li lasciarono insepolti e li trattarono con disprezzo assoluto quando morirono». Invece molti cristiani «non si risparmiarono, ma rimasero uniti o visitarono gli ammalati senza pensare al proprio pericolo e portarono loro aiuto assiduamente prendendo su di sé le malattie del loro prossimo e facendosi carico generosamente del peso delle sofferenze di quanti stavano loro intorno».

Infine quando nel IV secolo d.C. carestie e malattie colpirono l’esercito dell’imperatore Costantino, Pacomio, un soldato pagano di quell’esercito, rimase colpito da quei commilitoni (che poi seppe essere cristiani) che, a differenza degli altri, si prodigavano ad aiutare tutti i bisognosi, senza discriminazioni.

Qualcuno potrebbe obiettare che si tratta di testimonianze di parte, vescovi o pagani convertiti al Cristianesimo come San Pacomio. A costui vorrei ricordare quello che Voltaire, uno dei più acerrimi anticattolici del Settecento, dovette comunque riconoscere a proposito dello spirito di sacrificio dei cattolici:«Non vi è forse nulla di più grande sulla Terra del sacrificio della giovinezza e della bellezza compiuto dal gentil sesso – giovani spesso di nobili natali – al fine di poter lavorare negli ospedali per l’allevamento della sofferenza umana».

Qualche altro potrebbe ricordare che sentimenti di filantropia furono espressi anche dai pagani. Se da una parte questo è vero, dall’altra occorre precisare che molto spesso il donare degli antichi era interessato ad ottenere pubblicità personale o riconoscimenti in termini di fedeltà da parte dei beneficiati. Insomma, la generosità pagana non era disinteressata e non aveva nulla a che fare con la gratuità dell’amore cristiano. A questo punto qualcuno potrebbe far notare come la filosofia stoica incoraggiasse a fare il bene al prossimo senza aspettarsi niente in cambio. Anche questo è vero, ma si dimentica come lo Stoicismo indicasse come bene supremo quello dell’imperturbabilità dell’animo che non doveva essere inficiato da sentimenti ed emozioni, neanche quelli di compassione.

Lo specifico del Cristianesimo presuppone, invece, coinvolgimento emotivo ed empatia. Mi piace molto l’etimologia della parola “misericordia” che richiama il cuore (cor-cordis). Nelle cose facciamo spettiamo mettiamo la testa, gli occhi, ma non ci mettiamo il cuore. Ciò che fa la differenza spesso è proprio il modo in cui lo facciamo. Non a caso San Camillo de’ Lellis raccomandava a chi si accostava ai malati di mettere “più cuore nelle mani” ed in epoca più recente Mons. Tonino Bello affermava:«La minestra non scalda: occorre un alito umano. Dare un letto non basta, se non si sa dare la “buona notte”».

Alla luce di tutto ciò è impossibile menzionare tutte le opere di carità cattolica promosse in due millenni da parte di individui, parrocchie, monasteri, congregazioni religiose ed organizzazioni laiche ispirate dal comandamento nuovo di Gesù:«Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri». Cito, solo a titolo esemplificativo, gli ospedali fondati a Costantinopoli da San Giovanni Crisostomo , le opere assistenziali fiorite nel Medioevo ed in età moderna per la cura istituzionalizzata di vedove, orfani e poveri. Guardando a Firenze basta considerare i casi dell’Arciconfraternita della Misericordia o l’istituto degli Innocenti.

Quando in Europa e nel mondo certe realtà cattoliche caritatevoli sono venute meno, se ne sono visti gli effetti come denunciò l’arcivescovo di Aix en Provence in occasione delle confische delle opere educative ed assistenziali della Chiesa durata la Rivoluzione francese. Ed aveva ragione. Nel 1847 la Francia aveva il 47% degli ospedali in meno rispetto al 1789 e nel 1799 gli studenti francesi iscritti alle università erano 12.000 rispetto ai 50.000 studenti iscritti dieci anni prima.

Riconosciamo dunque al mondo pagano il merito dell’invenzione della regola d’oro che invita a «non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te stesso». Se si parla però di un amore universale che non si limita ai parenti (come nel caso di Enea con Anchise), ma fa di ogni uomo, anche del nemico, un fratello ed una sorella, non censuriamo il nome di Gesù. Se raccontiamo, ad esempio, dei tanti volontari che durante l’emergenza sanitaria hanno messo a rischio la propria vita per aiutare il prossimo non vergogniamoci di dire che il loro impegno è stato ispirato, più o meno esplicitamente, dall’icona del buon Samaritano. Infine non vergogniamoci di dire che l’attenzione alla Vita, in qualunque condizioni si trovi (sia all’alba che al tramonto), affonda le sue radici nel Cristianesimo e non nella cultura pagana.Tutto ciò non per “obblighi di partito”, ma per un obbligo morale nei confronti della verità.

In caso contrario si conferma un’altra volta ciò che affermava lo storico belga Leo Moulin:«Date retta a me, vecchiomoulin-poster incredulo che se ne intende: il capolavoro della propaganda anti-cristiana è l’essere riusciti a creare nei cristiani, nei cattolici soprattutto, una cattiva coscienza; a instillarli l’imbarazzo, quando non la vergogna, per la loro storia. A furia di insistere, dalla Riforma sino ad oggi, ce l’hanno fatta a convincervi di essere i responsabili di tutti o quasi i mali del mondo. Vi hanno paralizzato nell’autocritica masochista, per neutralizzare la critica di ciò che ha preso il vostro posto. Da tutti vi siete lasciati presentare il conto, spesso truccato, senza quasi discutere. Non c’è problema o errore o sofferenza nella storia che non vi siano stati addebitati. E voi, così spesso ignoranti del vostro passato, avete finito per crederci, magari per dar loro man forte. Invece io (agnostico, ma storico che cerca di essere oggettivo) vi dico che dovete reagire, in nome della verità. Spesso, infatti, non è vero. E se qualcosa di vero c’è, è anche vero che, in un bilancio di venti secoli di cristianesimo, le luci prevalgono di gran lunga sulle ombre. Ma poi: perché non chiedere a vostra volta il conto a chi lo presenta a voi? Sono forse stati migliori i risultati di ciò che è venuto dopo? Da quali pulpiti ascoltate, contriti, certe prediche?».

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Stefano Liccioli

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