A margine di un inedito di Wojtyla recentemente pubblicato

Q3HDAwF1y4vT_s4-mbdi Francesco Vermigli • Da poche settimane è uscito in traduzione italiana – con il titolo Cristo, la Chiesa e il mondo. Catechesi dell’Areopago – un ciclo di tredici catechesi inedite di Karol Wojtyla. Dall’«Analisi dell’opera» di M. Burghardt si apprende che tali catechesi si trovano raccolte in 39 fogli autografi – in seguito risistemate in forma dattiloscritta da una mano ignota – che non sappiamo se siano mai state pronunciate e quali fossero gli eventuali destinatari. Ma l’insistenza sui documenti conciliari spinge a pensare che la loro redazione sia riconducibile al periodo finale del Vaticano II o al periodo immediatamente post-conciliare, in ogni caso quando il futuro Giovanni Paolo II era già arcivescovo metropolita di Cracovia: a tale momento del suo ministero pastorale dovrebbe dunque essere ricondotta la composizione di queste catechesi. Che poi tali catechesi siano state composte a Roma e che fossero scritte in previsione di una traduzione italiana come la Burghardt lascia intendere a partire da alcuni indizi, non sappiamo.

Cerchiamo di introdurci all’interno di questo libretto, aperto dalla «Presentazione» del card. Dziwisz – a lungo segretario particolare di Woityla prima vescovo, quindi pontefice – e chiuso da una «Guida alla lettura» di G. Marengo e, come detto, dalla «Analisi dell’opera» della Burghardt. Cerchiamo di introdurci nell’opera a partire dal sottotitolo, che in realtà nell’edizione polacca originale svolge il ruolo di titolo stesso della raccolta: Catechesi dell’Areopago.

Il riferimento al discorso di Paolo ad Atene (cfr. Atti 17,16-34) è il trait d’union delle 13 catechesi: tutte aperte da alcuni passi in latino (frasi prese da Grignion de Montfort, dalla sequenza Victimae paschali laudes, dalla sequenza Veni, Sancte Spiritus e dall’inno Adoro te devote) e tutte strutturate, appunto, attorno ad un passo del discorso di Paolo. Perché a partire dal discorso ateniese di Paolo?

Scrive Marengo: «Individuando in quell’episodio della missione dell’Apostolo un “ritornare alle nostre origini spirituali”, Wojtyla si ricollega esplicitamente alle intenzioni peculiari del Concilio: individuare le condizioni per riaprire un dialogo con l’umanità contemporanea e incontrarla nel suo vissuto concreto e reale» (p. 141). Siamo però spinti a spostare la domanda: per quale ragione il futura papa Giovanni Paolo II pone, almeno implicitamente, questo parallelo?

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A ben vedere, parlare di un uomo naturalmente religioso e in attesa di risposte alle domande essenziali della propria vita, significa riandare ad alcune questioni capitali: se Dio si rivela, l’uomo sarà capace di accogliere tale rivelazione? e se così fosse, la rivelazione che cosa aggiunge al desiderio dell’uomo che Dio si riveli? Ai più informati ritornerà in mente di Balthasar – associazione mentale simil-pavloviana – Cordula ovverosia il caso serio… sorta di dura reprimenda contro il cristianesimo anonimo di Rahner. Così Marengo che commenta Wojtyla: «l’evento di Gesù Cristo non è appena pertinente a dare compimento al desiderium videndi Deum, inscritto nella “natura” dell’uomo, ma “attesta l’incomparabile esaltazione dell’uomo, […] se per la sua salvezza lo stesso Figlio di Dio si è fatto uomo”» (p. 154).

Riferirsi a GS 22 significa però qualcosa di decisivo, con cui ci pare giusto concludere. L’Areopago si costituisce come una sorta di “Cortile dei gentili” spostato ad Atene, qui si discute dell’uomo in quanto tale e della sua ricerca di senso. Ma qui si annuncia anche qualcosa: si annuncia che quella ricerca di senso trova approdo solo in Cristo, Uomo perfetto. Parafrasando l’inno citato da Paolo sull’Areopago (cfr. Atti 17,28), di Cristo, non di Zeus, del Nuovo Adamo, non di un dio mitologico, l’uomo in quanto tale, ciascuno di noi è davvero stirpe.