Un immenso abbraccio nonostante il rifiuto di terra e (apparentemente) cielo

downloaddi Giovanni Campanella • Nel febbraio 2018, la San Paolo ha pubblicato, all’interno della collana “Parole per lo spirito”, un piccolo libretto intitolato Le ultime parole di Gesù – Sigillo di tutta la sua vita e scritto da Enzo Bianchi, fondatore della Comunità Monastica di Bose.
Il libretto commenta le ultime sette parole di Gesù sulla croce così come ci sono state tramandate dai quattro evangelisti (una ci viene da Marco e dal suo parallelo in Matteo, tre ci vengono da Luca e tre da Giovanni). Dopo una piccola prefazione – costituita da un estratto di un commento di Shenuda III (patriarca di Alessandria d’Egitto) alle sette parole – e un capitolo introduttivo, segue il corpus interno formato da sette capitoletti, a ognuno dei quali corrisponde una delle sette espressioni di Gesù sulla croce. Il capitolo conclusivo riallaccia tutto alla Resurrezione.

«Secondo la testimonianza dei vangeli, Gesù è morto verosimilmente la vigilia della Pasqua ebraica, venerdì 7 aprile dell’anno 30 della nostra era. Catturato dalle guardie inviate dal sommo sacerdote, dopo un breve e sommario processo avvenuto nella notte davanti a una parte del sinedrio, Gesù, condannato dal potere religioso come bestemmiatore, viene consegnato ai romani. Ponzio Pilato, procuratore della Giudea, finisce per cedere alle pressioni dei sacerdoti e alla richiesta urlata della folla, e lo fa crocifiggere su una collina vicina alle mura della città di Gerusalemme» (p. 14).

Ovviamente è impossibile stabilire un preciso ordine cronologico per le sette parole, considerando anche che ci sono trasmesse da fonti diverse. La tradizione le ordina in base alla successione degli stessi vangeli nella Bibbia, successione consolidatasi nei secoli e confermata poi dal Concilio di Trento (Decretum de libris sacris et de traditionibus recipendis della Sessione IV dell’8 aprile 1546): prima Matteo (anche se scritto dopo Marco), poi Marco, Luca e infine Giovanni.
Matteo e Marco tramandano la stessa parola di Gesù sulla croce ….. e solo quella: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mc 15,34 e Mt 27,45). È un grido che riprende l’inizio del Salmo 22.

La seconda parola nell’ordine e la prima per Luca è «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34). Luca pone sempre un accento insistente sulla dimensione della preghiera. Anche sulla croce, Gesù non cessa di essere il nostro supremo intercessore presso il Padre. Gesù non chiede vendetta e interrompe così la spirale di odio: apre uno squarcio di luce mai visto prima nella storia dell’uomo. È interessante ciò che Bianchi scrive riguardo al perdono in prima persona: perdonare in prima persona può essere protagonismo. Inoltre, il perdono è un qualcosa di esclusivamente divino. Il vero perdono comporta per l’uomo uno sforzo enorme. Gesù ci suggerisce di chiedere a Dio di compiere il bene che noi con le nostre sole forze non siamo in grado di fare. E così ci smarchiamo anche da un protagonismo travestito da falso perdono. Non che Gesù non possa perdonare. Però la richiesta ci vuole mostrare ancora una volta la misericordia infinita che si sprigiona dalla relazione tra il Padre e il Figlio, anche nell’ora più difficile
«Oggi con me sarai nel paradiso» (Lc 23,43) è una frase di grande tenerezza (e non per nulla si dice che il Vangelo di Luca sia il Vangelo della tenerezza). «Essere con Gesù: ecco che cos’è il Regno di Dio, il paradiso!» (p. 59).

Secondo Luca, il Crocifisso, subito prima di spirare, esclama a gran voce: «Padre, nelle tue mani, affido il mio spirito» (Lc 23,45). Anche questa frase riprende un salmo: è il versetto 6 del Salmo 31. L’ultima “grande voce”, che Matteo e Marco hanno ricordato come citazione del Salmo 22, nella memoria a disposizione di Luca è forse invece una ripresa del Salmo 31? O entrambi gli scenari hanno coesistito? Non lo sappiamo. Ciò che si può evincere è sicuramente il fatto che la vita di Gesù è stata tutta un dono, dall’inizio alla fine. Anche nel morire, il Figlio conferma ed evidenzia il dono di tutta la sua vita al Padre.
È la volta del resoconto dell’ultimo Vangelo. La prima “parola” di Gesù sulla croce che Giovanni ricorda (e la quinta nell’ordine delle sette) è in realtà composta da due frasi: «”Donna, ecco tuo figlio”. Poi dice al discepolo: ”Ecco tua madre”» (Gv 19,26-27). Gesù «con una duplice affermazione introdotta dall’enfatico “ecco”, dichiara la nuova maternità di sua madre e la nuova figliolanza del discepolo amato» (p. 75).
La penultima parola è «Ho sete» (Gv 19,28).

Passiamo all’ultima delle sette parole: «È compiuto» (Gv 19,30). Riguardo ad essa, Bianchi cita in una nota Léon-Dufour, secondo il quale il tetélestai pronunciato dal Figlio riprende quel syntélesen (“terminò”, dal verbo teléo) riferito a Dio nella finale del racconto della creazione (Gen 2,2). Gesù porta a compimento la nuova creazione perseguita dal Padre e consistente nel dono della comunione divina agli uomini.
Nella conclusione, l’autore sottolinea che le sette parole sono preludio alla resurrezione.