di Stefano Liccioli • Nell’ultimo periodo l’attenzione dei media si è concentrata su episodi di violenza di cui si sono resi protagonisti alunni adolescenti a discapito dei loro insegnanti. Teatro di questi deprecabili avvenimenti, scuole medie e superiori in varie parti d’Italia. Come spesso accade, dopo il clamore dei primi giorni, le notizie pian piano hanno perso d’interesse, ma il problema è reale e, a mio avviso, non è nuovo. I commentatori che si sono avvicendati, su quotidiani e televisioni, spesso si sono affrettati a cercare i colpevoli: gli alunni violenti con la loro estrema maleducazione, i loro genitori e, in alcuni casi, anche gli insegnanti, rei di non farsi rispettare.
La ricerca del colpevole rischia però di non aiutare a capire la questione. In questa sede non ho la pretesa di fornire spiegazioni esaustive, mi basta suscitare qualche interrogativo più approfondito, problematizzando al meglio quanto è successo.
Bisogna innanzitutto ammettere che, a chi conosce il mondo della scuola, erano note, anche prima delle “giornalate”, le situazioni disciplinari che caratterizzano certi istituti superiori ed il clima in cui si trovano ad operare insegnanti e personale educativo in generale in alcuni contesti scolastici.
Come mai succede che studenti minaccino e insultino i loro docenti e, addirittura, li picchino? Fermo restando la responsabilità dei singoli coinvolti in certi episodi e non limitandosi a concentrarsi sui casi estremi, occorre riflettere sul fatto che negli ultimi decenni l’istituzione scolastica, a mio avviso, è meno rispettata nella nostra società ed ha perso di autorevolezza. Le ragioni di questo processo sono attribuibili ad alcuni fattori: per la gente il valore della cultura è diminuito, progressivamente si è affermata l’idea che l’istruzione non serva poi così tanto per avere successo nella vita (a riprova di ciò personaggi famosi che ce “l’hanno fatta” pur avendo frequentato poco e, a volte, male la scuola) ed ancora, il fatto che siamo passati da una situazione storica in cui i professori avevano sempre ragione ad una in cui i professori sbagliano quasi sempre, il loro giudizio è contestato dai genitori che tendono invece a giustificare a spada tratta i propri figli. Non è un caso se i rapporti scuola-famiglia sovente vengono regolamentati dal TAR. Aggiungerei anche il fatto che in una società in cui il parametro della realizzazione personale è il guadagno economico, la figura del docente non è così popolare tra i giovani visto il suo stipendio non molto elevato. Infine ammettiamo anche che, soprattutto in passato, troppo spesso si è guardato al “mestiere” dell’insegnante come ad un ripiego o ad una carriera professionale a cui si accede per avere lo stipendio fisso e con pochi requisiti. Mi è capitato più volte di sentire prospettare ad un giovane laureato la strada della docenza solo per il fatto di avere la laurea, senza interrogarsi sulla reale predisposizione (non uso la parola vocazione) di quella persona ad insegnare.
Parallelamente è cresciuta l’importanza di altri contesti come quelli sportivi: per esperienza posso dire che l’allenatore di calcio, ad esempio, ha spesso un grande ascendente sui ragazzi, guai a mettere in discussione quello che dice il “mister”.
Se l’istituzione scolastica e gli insegnanti sono meno rispettati che in passato questo non dipende, a mio avviso, dal fatto che i ragazzi ora sono più maleducati di prima, un aspetto questo sulla cui veridicità si potrebbe riflettere in un altro articolo. I giovani tendono a riflettere quello che respirano e ciò che si respira è secondo me, nella pratica, una scarsa fiducia nella scuola, al di là delle varie fiction che vedono come protagonisti insegnanti.
Paradossalmente si addossano ai professori molti compiti e responsabilità perché, volente o nolente, essi entrano quotidianamente in contatto con ragazzi e ragazze, un’opportunità che altre agenzie educative come la Chiesa ormai fanno molta fatica ad avere e che i genitori rischiano di perdere sempre più presi dalle carriere lavorative o in difficoltà a causa di separazioni e divorzi.
Per ridare autorevolezza alla scuola non basta mettere più soldi nell’istruzione, occorre ridare centralità a ciò per cui la scuola è nata ovvero la relazione educativa tra adulti e nuove generazioni. Se nelle scuole si riuscirà a dare più spazio ed a valorizzare il rapporto tra docenti ed alunni, limitando la preoccupazione per i progetti o altri adempimenti burocratici che assorbono tempo ed energie, saranno in primis proprio gli studenti a riconoscere con gratitudine (anche se non tutti ed anche se non subito) la preziosità del tempo trascorso a scuola e del lavoro dei loro professori. A tal proposito mi sembra significativa questa frase di Benjamin Franklin (sì, l’inventore del parafulmini):”Dimmi e io dimentico; mostrami e io ricordo, coinvolgimi e io imparo”. Abbiamo il coraggio di sognare una scuola dove ciò possa avvenire?