Cinquant’anni fa il «Credo del popolo di Dio» di Paolo VI
di Francesco Vermigli • La mattina di domenica 30 giugno 1968, Paolo VI concludeva l’“anno della fede” e diciannovesimo centenario del martirio dei santi Pietro e Paolo. A cinquant’anni di distanza, quella chiusura diventa per noi anche l’occasione per ricordare il pontefice che il prossimo 14 ottobre verrà canonizzato da papa Francesco e che guidò la Chiesa in uno dei tornanti più difficili e complessi della sua storia recente. Nell’atto di dare chiusura all’anno dedicato alla fede, davanti alla Basilica di San Pietro pronunciò solennemente e a nome dell’intera comunità ecclesiale una professione di fede, nota come il “Credo del popolo di Dio”. La ricordiamo non tanto proponendone un’analisi dettagliata – che sarebbe grandemente esorbitante rispetto allo spazio di questo articolo – ma cercando di collocare tale professione nel quadro generale della Chiesa dell’epoca.
Forse è solo a noi che viviamo l’epoca dell’idiosincrasia a tutto ciò che possa odorare di dogmatico, che potrà sembrare contraddittorio riferirsi ad un simbolo di fede e definirlo in contemporanea “del popolo di Dio”. In fondo, si tratta semplicemente di ritornare all’idea tradizionale secondo la quale la dottrina lentamente si forma e lentamente si sviluppa proprio a seguito delle sollecitazioni più profonde della comunità dei credenti. La storia consegna alla Chiesa la consapevolezza che non potrà mai accadere che gli articoli dei quali si costituisce la dottrina cattolica, non abbiano a che fare con la salvezza dei credenti.