di Giovanni Campanella · Un articolo dell’Agenzia Fides del 29 ottobre 2022 contiene un’interessante intervista a una giovane cattolica mongola: (vedi) . Si chiama Chamingerel, si intende di tecnologie digitali, parla diverse lingue e coordina l’ufficio pastorale della Prefettura Apostolica di Ulan Bator. Nel 2004, a 17 anni, fu invitata da alcuni parenti cattolici ad una celebrazione eucaristica e rimase molto colpita dall’atmosfera accogliente. Decise di battezzarsi, scegliendo come nome di battesimo “Rufina”, martire romana del secondo secolo.
«L’ufficio pastorale, che quest’anno ha ricevuto sostegno anche dalla Pontificia Opera della Propagazione della Fede, è una piccola struttura con diverse mansioni operative, che vanno dalla traduzione di documenti ecclesiali – proprio per venir incontro all’urgenza di avere testi in lingua locale – alla formazione dei catechisti (che sono perlopiù giovani madri e studenti), o ancora alla preparazione di incontri nella Prefettura, fino alla comunicazione attraverso i social media e l’aggiornamento del sito internet. Il “cuore” di ogni opera rimane l’attenzione alle singole persone nel loro cammino di fede. In Mongolia i battezzati cattolici sono circa 1300 su una popolazione di oltre 3 milioni di persone. (…). Tanti incontrano il cristianesimo dopo che la loro sensibilità è stata nutrita e modellata dal buddismo e dallo sciamanesimo» (ibidem).
Proprio in questo anno 2022 sono ricorsi 30 anni dal ritorno della libertà di culto per i cristiani: infatti il precedente regime comunista, che bandiva ufficialmente il cristianesimo, si è dissolto nel 1992. Il 10 luglio 2022, si è tenuta una solenne celebrazione con molti vescovi nella cattedrale dei santi Pietro e Paolo a Ulan Bator per ricordare l’anniversario.
In realtà, i primi contatti tra i Mongoli e il cristianesimo avvennero in tempi molto antichi: intorno al VI secolo si stabilirono in Mongolia comunità nestoriane. Poi, religiosi francescani, come Giovanni da Pian del Carpine e Guglielmo di Rubruk, arrivarono nel XIII secolo.
«Con il trasferimento della capitale mongola da Karakorum a Khān Bālīq (oggi Pechino), e più tardi con la conquista della stessa Karakorum da parte della dinastia Ming, la Mongolia divenne, dal punto di vista politico e anche religioso, un’appendice della Cina, di cui fu primo vescovo cattolico Giovanni da Montecorvino (morto a Pechino nel 1328 e tra l’altro traduttore del Nuovo Testamento in lingua uigura)» (vedi)
I successivi tre turbolenti secoli, caratterizzati da aspre guerre (non per nulla risale a questo periodo la Grande Muraglia Cinese) e quindi da difficilissimi collegamenti, determinarono la progressiva scomparsa delle comunità strutturate cristiane in Mongolia. Solo dopo la seconda guerra dell’oppio, a metà ‘800, ripartì un nuovo slancio missionario. Nel 1922, la Chiesa era riuscita a stabilire ufficialmente una missione sui iuris (nei secoli precedenti dipendeva da Pechino), solo per vederla cancellata un anno dopo con l’affermazione del regime comunista.
Come già accennato sopra, il regime finì nel 1992 ed è tornata la libertà di culto, anche se qualche restrizione legale rimane ancora (al di fuori delle chiese, non si può fare professione di fede e i preti non possono indossare abiti clericali). A tutt’oggi, la Mongolia non ha ancora diocesi: la Prefettura Apostolica di Ulan Bator si estende su tutto il territorio dello Stato della Mongolia ed è suddivisa in tre grandi parrocchie. Il precedente prefetto apostolico monsignor Wenceslao Padilla, originario delle Filippine e ordinato vescovo dal cardinale Crescenzio Sepe, è morto il 25 settembre 2018. Suo successore e attuale prefetto è il vescovo Giorgio Marengo, nato a Cuneo nel 1974 e creato cardinale da papa Francesco nell’agosto del 2022. Proprio lui, operante in terra così lontana e nascosta (una delle periferie tanto care al Papa), con i suoi 48 anni è il più giovane tra gli attuali 226 cardinali!