di Gianni Cioli · «Il cristiano non obbedisce a una legge opprimente e impersonale; egli si ricorda invece di una capacità che gli è stata donata. La misura del suo agire cresce con l’intensità con cui è catturato dall’amore. Il radicalismo evangelico ha qui le sue radici» (K. Demmer, «Salvezza», in B. Stoeckle (ed.), Dizionario di etica cristiana, Assisi 1978, p. 366).
È proprio in questa esperienza di essere catturati dall’amore che sta il fondamento della vita cristiana e quindi delle scelte morali del cristiano. Vivere con un senso, identificarsi sempre più profondamente con quello che si fa, superare gli ostacoli, le sconfitte, le frustrazioni e le delusioni è possibile per chi ama sentendosi amato. L’inevitabile sofferenza che comporta l’agire responsabilmente in un mondo segnato dal peccato è compensata solo dall’amore. Anzi l’amore è la logica della croce che spinge a prendere su di sé i pesi e i dolori altrui. Tutta la vita cristiana si fonda nel mistero della Pasqua: il mistero dell’amore crocifisso che sconfigge la propria antitesi, cioè il peccato, e quindi la morte.
La scelta di vita del cristiano, sia nel matrimonio, che nella vita consacrata, che nel sacramento dell’ordine, o in qualsiasi altra forma è legata all’esperienza dell’essere stati affascinati, è legata, potremmo dire, a un innamoramento, che deve poi maturare e consolidarsi nella fedeltà. La scelta di vita è il filo d’oro che lega tutte le altre scelte e da loro significato. La scelta di vita potremmo dire è il centro dell’integrazione personale, ma tale scelta per il cristiano è necessariamente legata all’amore teologale di Dio e degli altri, ovvero alla carità, l’amore che il cristiano ha ricevuto in dono e che lo spinge a farsi dono a sua volta.
L’amore solamente umano, come del resto la speranza umana, è soltanto una passione, ma l’amore teologale è una virtù, la più nobile delle virtù. San Tommaso d’Aquino afferma che: «è necessario che le virtù umane, principio degli atti buoni, consistano nell’adeguazione alla regola degli atti umani, poiché la bontà di codesti atti si misura dalla loro conformità alla regola stabilita. Sopra però abbiamo detto che esistono due regole degli atti umani, cioè la ragione umana e Dio. Ma Dio è la prima regola, da cui deve essere regolata la stessa ragione umana.
Ecco perché le virtù teologali che consistono nell’adeguarsi a questa prima regola, avendo esse Dio per oggetto, sono superiori alle virtù morali e intellettuali, che consistono nell’adeguarsi alla ragione umana. Perciò è necessario che tra le stesse virtù teologali sia più nobile quella che meglio raggiunge Dio.
D’altra parte i mezzi diretti sono superiori a quelli indiretti. Ora fede e la speranza raggiungono Dio in quanto: la fede causa in noi la conoscenza della verità; la speranza causa il conseguimento della beatitudine. Invece la carità raggiunge Dio in se stesso non in quanto causa di qualche beneficio in noi. Perciò la carità è più nobile della fede e della speranza; e quindi di tutte le altre virtù» (Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, II-II, q. 23, a. 6).
Fra le affermazioni di san Tommaso sul primato della carità appare particolarmente significativa la seguente: «Per caritatem ordinantur actus omnium aliarum virtutum ad ultimun finem (tramite la carità sono ordinati al fine ultimo gli atti di tutte le altre virtù)», per questo si può dire che la carità è forma di tutte le altre virtù (Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, II-II, q. 23, a. 8).
Per citare anche un teologo contemporaneo si può aggiungere che «la carità come dono di sé non è un precetto divino, e neppure direttamente il precetto divino: è Dio stesso e – come tale – è l’unico significato dell’esistenza umana» (E. Chiavacci, Teologia morale fondamentale, Cittadella editrice, Assisi 2007, p. 56).