di Gianni Cioli · Nel Vangelo di Luca la partecipazione ad un pranzo a casa di un fariseo offre a Gesù l’occasione per formulare un’esortazione, all’apparenza di genere eminentemente sapienziale, in forma di parabola: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cedigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato”» (Lc 14,8-11).
Letto in modo superficiale l’invito di Gesù potrebbe essere inteso come una regola di saggezza umana, utile ad evitare brutte figure. In realtà dietro la raccomandazione di Gesù c’è molto di più. L’umiltà cristiana non è semplicemente una strategia di buon senso, bensì una via maestra per conformarsi al Signore che, consegnandosi alla morte sulla croce, si è effettivamente collocato nel punto più infimo delle aspettative esistenziali umane, per essere poi però esaltato e ricevere la collocazione più alta, alla destra del Padre, con la risurrezione e la glorificazione.
Per il cristiano, dunque, scegliere la via dell’umiltà e del servizio in spirito di carità, prima ancora di essere un atteggiamento di buon senso e un dovere morale, è un atto di fede nel Signore morto, risorto e asceso al cielo.
Si può così giungere a riconoscere che l’umiltà è la risonanza nella vita reale dei battezzati della celebrazione eucaristica e dell’annuncio, che questa celebrazione comporta, della morte e della risurrezione del Signore, nell’attesa della sua venuta. L’umiltà del credente si fonda nella ripresentazione sacramentale della Pasqua del Signore che sfida la coscienza cristiana a misurarsi con le occasioni concrete dell’esistenza per farle diventare vangelo, annuncio di bene.
Non a caso il Vangelo di Luca colloca al capitolo ventiduesimo, nel contesto eucaristico dell’ultima cena, il secondo dei due episodi relativi alla reazione di Gesù di fronte alla discussione su chi fosse il più grande fra i discepoli. Da questa reazione di Gesù scaturisce un insegnamento chiave per comprendere il senso dell’umiltà cristiana e il suo rapporto profondo con la dignità del servire. Le parole di Gesù appaiono, oltretutto, drammaticamente pertinenti di fronte agli attuali sconvolgimenti geopolitici a cui stiamo assistendo, nei quali viene strumentalmente e dolorosamente chiamata in ballo anche la religione cristiana: «Quando venne l’ora, prese posto a tavola e gli apostoli con lui, e disse loro: “Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, perché io vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio”. E, ricevuto un calice, rese grazie e disse: “Prendetelo e fatelo passare tra voi, perché io vi dico: da questo momento non berrò più del frutto della vite, finché non verrà il regno di Dio”. Poi prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: “Questo è il mio corpo, che è dato per voi; fate questo in memoria di me”. E, dopo aver cenato, fece lo stesso con il calice dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che è versato per voi. Ma ecco, la mano di colui che mi tradisce è con me, sulla tavola. Il Figlio dell’uomo se ne va, secondo quanto è stabilito, ma guai a quell’uomo dal quale egli viene tradito!”. E nacque tra loro anche una discussione: chi di loro fosse da considerare più grande. Egli disse: “I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno potere su di esse sono chiamati benefattori. Voi però non fate così; ma chi tra voi è più grande diventi come il più giovane, e chi governa come colui che serve. Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve”» (Lc 22,14-27).
Il precedente episodio relativo ad una analoga reazione di Gesù di fonte ad una analoga discussione fra i discepoli viene invece collocato da Luca al capitolo nono, dopo la professione di fede di Pietro e la narrazione della esperienza della trasfigurazione, inserita (non casualmente) fra due annunci della passione: «Nacque poi una discussione tra loro, chi di loro fosse più grande. Allora Gesù, conoscendo il pensiero del loro cuore, prese un bambino, se lo mise vicino e disse loro: “Chi accoglierà questo bambino nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato. Chi infatti è il più piccolo fra tutti voi, questi è grande”» (Lc 9,46-48).
Gesù, prendendo un bambino e ponendoselo vicino, fa del “più piccolo” un riferimento al contempo iconico ed esemplare. Il bambino è immagine del Signore che il discepolo è chiamato ad accogliere con un atto radicale di fede. Ma è anche modello per il discepolo che, interessato a raggiungere la vera grandezza, può guadagnare la sua massima statura solo facendosi “piccolo” attraverso la sequela e l’imitazione del Signore.