In margine ad un libro di Francesco Benigno e Vincenzo Lavenia

Francesco Benigno è titolare della cattedra di Storia moderna alla Scuola Normale Superiore di Pisa, a cui è pervenuto dopo avere insegnato nelle università di Catania, Messina e Teramo e come visiting professor in varie università straniere. Ha scritto sui metodi e i concetti della storia, sulla politica europea della prima età moderna, sul crimine organizzato e sul terrorismo. Vincenzo Lavenia insegna Storia moderna all’Università̀ di Bologna. Nelle sue ricerche e nella sue pubblicazioni si è occupato soprattutto di storia della Chiesa e di storia del comportamento sessuale.

Certo, ciascuna delle spiegazioni avanzate nel dibattito corrente sulle cause del dilagare dei casi di abusi sessuali sui minori contiene qualche aspetto di parziale verità. Non ce dubbio, ad esempio, che anche i preti siano stati influenzati dalle trasformazioni culturali in materia sessuale prodottesi a partire dagli anni Sessanta del Novecento» – come ha recentemente, fra l’altro, affermato il papa emerito, Benedetto XVI in un suo intervento sul tema – «e che le condotte omosessuali del clero, anche nei confronti dei giovani seminaristi, abbiano ricevuto sul piano pratico un minore ostracismo nonostante le norme disciplinari. La maggiore presenza dei temi della sessualità nella sfera pubblica ha, d’altra parte, reso probabilmente più gravoso per molti sacerdoti l’obbligo del celibato e dell’astinenza. E non ce dubbio, parimenti, che nella tendenza della Chiesa a privilegiare la propria immagine, mettendo a tacere le accuse e le notizie di casi di abusi sessuali sui minori, abbia avuto rilevanza la tendenza di ogni ceto sociale istituzionalmente costituito a proteggersi. Lo spirito di corpo e, nel caso della Chiesa cattolica, anche la tradizionale gestione di una sfera di comportamenti privati sottratti al controllo dello Stato, hanno pesato nelle pratiche di insabbiamento delle accuse di abusi sessuali compiuti da religiosi e nel sostenere la cultura del segreto. Ma tutte queste spiegazioni sono solo supplementari rispetto alla vera causa primaria che ha prodotto lo scandalo della pedofilia, vale a dire una cultura condivisa dai fedeli, dai preti pedofili e dalle gerarchie ecclesiastiche su cosa fossero questi atti, e che – trincerata nelle proprie certezze – è venuta perdendo contatto con i mutamenti di sensibilità della società civile.

La poca attenzione o non comprensione di questo punto produce l’immagine distorta di comportamenti decontestualizzati: la copertura esercitata dai vescovi sui sacerdoti che avevano confessato gli abusi viene infatti comunemente scambiata per una congiura, o per una squallida prassi clientelare e opportunistica, mentre andrebbe considerata come dipendente da una più generale concezione della ineluttabilità e insieme della redimibilità del peccato, una visione condivisa non solo dai vescovi ma anche dai sacerdoti che quegli atti hanno perpetrato e in buona misura anche dalle famiglie e dalle vittime che li hanno subiti» (pp. 235-236).

L’analisi storica relativa ai secoli passati e la presentazione dei fatti di cronaca più recenti, appaiono elaborate in modo sostanzialmente onesto: là dove le notizie non sono suffragate da dati certi, sono riportate, ma con beneficio d’inventario. Non si esclude che determinate accuse nei confronti della Chiesa o di singoli ecclesiastici, possano essere state, in tempi passati (come durante il periodo nazista) o anche recenti, mere manipolazioni volte a screditare l’Istituzione ecclesiastica e a favorire altri poteri, sebbene buona parte dei fatti riportati risultino documentati o comunque verosimili. Insomma siamo di fronte ad una ricerca storica che non appare ideologicamente connotata né contro, né a favore della Chiesa cattolica.

Da questo punto di vista il libro potrà costituire uno strumento utile a favorire nella Chiesa un percorso sempre più trasparente di purificazione della memoria intorno agli abusi sui minori. Potrà inoltre risultare un sussidio valido nell’ambito di corsi di formazione relativi alla Tutela dei minori e degli adulti vulnerabili che, si auspica, verranno offerti, sempre più frequentemente e diffusamente, nell’ambito delle Facoltà teologiche, e degli istituti ad esse affiliati, soprattutto in funzione della formazione dei futuri ministri ordinati e degli operatori pastorali. L’eventuale utilizzo del saggio, come possibile sussidio didattico è resa ancora più interessante dall’ampia e articolata bibliografia (pp. 274), che compensa, in parte, l’assenza di note a piè di pagina o di chiusura, come pure dal ricco indice dei nomi (pp. 277-284).

La proposta interpretativa a cui l’analisi storica vuole alla fine condurre, ovvero quella di un cambiamento non metabolizzato di paradigma, merita, d’altro canto una ponderata riflessione critica e non mancherà di arricchire il dibattito fra coloro che si interessano alla tutela dei minori.

Come si detto, la tesi chiave del libro vede nel paradigm shift, relativo alla comprensione della pedofilia come crimine piuttosto che come peccato, la ragione delle difficoltà della Chiesa a gestire con trasparenza ed efficacia il problema degli abusi sui minori da parte del clero. È difficile capire con certezza se il nocciolo della questione sia solo ed effettivamente questo, e se una eventuale ristrutturazione in questo senso del proprio orizzonte interpretativo da parte della Chiesa potrà risultare risolutiva. Se si considerano le cose in una prospettiva anche teologica e non soltanto storico sociologica, si potrebbe forse obiettare che invece che alla disgiuntiva sarebbe opportuno ricorrere alla congiunzione copulativa per accostare i due termini presenti nel titolo: Peccato e crimine, piuttosto che Peccato o crimine. La Chiesa non può infatti rinunciare alla categoria di peccato per definire il male morale e, d’altra parte, la categoria di crimen non era affatto assente dalla teologia morale tradizionale e dal diritto canonico, sebbene non esattamente con il significato che gli autori del libro attribuiscono al concetto di crimine nel libro, come rispondente alla sensibilità corrente in quanto delitto contro la persona e la libertà personale, piuttosto che come reato contro la moralità. Parlare dell’abuso sui minori (e anche sugli adulti vulnerabili), accostando al concetto di peccato quello di crimine (come delitto contro la persona), dovrebbe pertanto condurci a riflettere su come far sì che, nella Chiesa, l’irrinunciabile atteggiamento di misericordia nei confronti di chi ha peccato non oscuri, come di fatto è avvenuto in passato, l’ancor più irrinunciabile senso di misericordia verso le vittime dell’abuso stesso. Per affrontare il problema della pedofilia (e comunque dell’abuso sessuale sui minori e sugli adulti vulnerabili) non si dovrà inoltre sottovalutare, come di fatto è a lungo avvenuto, la prospettiva clinica, riconoscendo nella pedofilia (e in altre determinate forme di abusi sessuali) una patologia che comporta, fatalmente, forme di recidività: una coazione a ripetere che, come tale, non può risolversi con un’assoluzione, una penitenza, una calda raccomandazione a convertirsi e un sincero proposito nel penitente di non commettere più il peccato in questione. Dunque Peccato, crimine e patologia. La riflessione teologico morale e canonistica dovrà probabilmente lavorare per chiarire come si possano accostare e sovrapporre, evitando il paradosso, categorie non pienamente commensurabili come “peccato”, “crimine” e “patologia”, attraverso un confronto, vero e profondo, con le scienze umane e la casistica clinica. In conclusione, nella Chiesa deve affermarsi sempre più convintamente la persuasione che, per chi ha abusato di un minore, la migliore misericordia non è certo un ulteriore credito di fiducia, per un’improbabile innocenza sacramentalmente ristabilita, ma l’essere messo realmente in condizione di non nuocere più.

Detto questo, vorrei sottolineare che la tesi chiave del libro, relativa a un cambiamento di paradigma diversamente metabolizzato dalla società civile e dalla Chiesa, appare in ogni caso stimolante e merita di essere davvero ripresa, non solo nell’ambito della riflessione storico sociologica ma proprio anche in quello dell’approfondimento teologico e canonistico.

Un segnale interessante di come, nella Chiesa, il possibile cambiamento di paradigma messo a fuoco da Benigno e Lavenia sembri di fatto farsi strada, può essere comunque ravvisato nel fatto che, nella recentissima revisione del VI libro del Diritto canonico promossa da Papa Francesco (cf. Costituzione apostolica “Pascite Gregem Dei”, 23 maggio 2021) il reato di abuso di minori appaia adesso inquadrato non all’interno dei delitti contro gli obblighi speciali dei chierici, bensì in quelli «contro la vita, la dignità e la libertà» della persona.