Considerazioni su un discorso di Papa Francesco sulla teologia morale.
di Gianni Cioli · In occasione del quinto anniversario di Amoris Laetitia, nei giorni dall’11 al 14 maggio 2022, si è svolto a Roma un Convegno internazionale promosso dalla Pontificia Università Gregoriana e dal Pontificio Istituto teologico Giovanni Paolo II, sul tema Pratiche pastorali, esperienza di vita e teologia morale: Amoris laetitia tra nuove opportunità e nuovi cammini.
I partecipanti al convegno sono stati ricevuti dal Santo Padre, in udienza, venerdì 13 maggio, presso la Sala Clementina.
Vale la pena soffermarsi sul Discorso che il Papa ha pronunciato nella circostanza e che ha messo in luce, fra l’altro, la possibile fecondità di un più profondo rapporto tra pratiche pastorali e teologia morale.
Il Popolo di Dio, infatti, ha sottolineato Francesco, «è costituito in grandissima parte dalle famiglie, le quali sono il primo luogo in cui vivere la fede in Gesù Cristo e l’amore reciproco. È dunque opportuno «che la teologia morale attinga dalla ricca spiritualità che germina nella famiglia». La famiglia è la Chiesa domestica nella quale «i coniugi e i figli sono chiamati a cooperare nel vivere il mistero di Cristo».
Si comprende che il Santo Padre, quando parla della famiglia, sia in quanto soggetto che in quanto oggetto della pastorale della Chiesa, non intende affatto idealizzarla con paradigmi suggestivi ma poco aderenti alla realtà del vissuto umano e dello stesso popolo di Dio. La realtà familiare «è oggi più che mai provata». La famiglia attraversa una crisi culturale profonda, ci sono tante «situazioni difficili e famiglie ferite». Ma proprio «i cambiamenti epocali che stiamo vivendo provocano la teologia morale a raccogliere le sfide del nostro tempo», per favorire «una nuova creatività» capace di «esprimere nelle sfide attuali i valori che ci costituiscono come popolo nelle società e nella Chiesa, Popolo di Dio». In questa sfida la teologia morale è illuminata dall’impegno pastorale della Chiesa, che è sostenuto a sua volta dalla riflessione morale.
La famiglia svolge oggi dunque (sia come soggetto e attore pastorale, sia come luogo teologico) un ruolo decisivo «nei percorsi di “conversione pastorale” delle nostre comunità e di “trasformazione missionaria della Chiesa”». Ed è proprio a partire dalla famiglia, considerata nella sua realtà piuttosto che nella sua idealità, che riflessione teologica deve e può farsi veramente attenta «alle ferite dell’umanità», per affermare, delineare e sostenere la praticabilità del «bene possibile».
Il metodo che il Papa indica alla ricerca teologica per favorire l’approfondimento delle riflessioni sul matrimonio e la famiglia è in particolare quello «dell’inter- e trans-disciplinarità, già all’interno della teologia, oltre che tra teologia, scienze umane e filosofia». Tale metodo può aiutare la riflessione teologica, che per definizione dovrà sempre lasciarsi illuminare e provocare in primis dall’ideale evangelico, a non perdere il suo essenziale legame con la concreta realtà del vissuto umano. Si può forse parlare, a questo proposito, di riconoscimento dell’oggettività del vissuto dei soggetti nelle loro dinamiche storiche. «La verità della Rivelazione si rivolge nella storia – è storica! – ai suoi destinatari, che sono chiamati ad attuarla nella “carne” della loro testimonianza. Quanta ricchezza di bene c’è nella vita di tante famiglie, in tutto il mondo! Il dono del Vangelo, oltre al Donatore, suppone un destinatario che va preso sul serio, va ascoltato». Per questo, sottolinea il Santo Padre, le realtà del matrimonio e della famiglia «possono costituire un “kairos” per la teologia morale, per ripensare le categorie interpretative dell’esperienza morale alla luce di ciò che accade nell’ambito familiare. Tra teologia e azione pastorale è necessario stabilire, sempre di nuovo, una circolarità virtuosa. La prassi pastorale non può essere dedotta da principi teologici astratti, così come la riflessione teologica non può limitarsi a ribadire la pratica».
Dunque la teologia «ha una funzione critica, di intelligenza della fede, ma la sua riflessione parte dall’esperienza viva e dal sensus fidei fidelium.
Solo così l’intelligenza teologica della fede svolge il suo necessario servizio alla Chiesa».
Una morale cristiana che intenda ripensare le proprie categorie teologiche considerando il matrimonio e la famiglia come un “kairos”, dovrà sicuramente concedere una particolare attenzione alla tematica del discernimento (concetto ricorrente con frequenza nel magistero di Francesco), ricollegandola soprattutto alla tematica della coscienza, intesa come capacità di orientarsi al bene riconosciuto, pur nell’esperienza esistenziale di costringenti limitazioni della libertà: «la pratica del discernimento si rende più che mai necessaria, aprendo lo spazio “alla coscienza dei fedeli, che tante volte rispondono quanto meglio possibile al Vangelo in mezzo ai loro limiti e possono portare avanti il loro personale discernimento davanti a situazioni in cui si rompono tutti gli schemi”(Amoris laetitia 37)».
Particolarmente suggestivo appare poi l’invito, tanto conciso quanto denso, a «ripensare oggi le categorie della teologia morale, nel loro reciproco legame: il rapporto tra la grazia e la libertà, tra la coscienza, il bene, le virtù, la norma e la phrónesis aristotelica, la prudentia tomista e il discernimento spirituale, il rapporto tra la natura e la cultura, tra la pluralità delle lingue e l’unicità dell’agape». Si tratta, in effetti, di una sintesi che accosta con acutezza i temi e i nodi chiave della teologia morale fondamentale e che potrebbe offrire il canovaccio essenziale di un possibile progetto di trattazione manualistica e scientifica.
L’intervento si conclude con altre due significative esortazioni rivolte alle teologhe e ai teologi. La prima è l’esortazione ad aiutare, con fedeltà creativa al Vangelo e con attenzione all’esperienza degli uomini e donne del nostro tempo, «le famiglie a ritrovare il senso dell’amore, una parola che oggi “molte volte appare sfigurata” (Amoris laetitia, 89)». La seconda è l’esortazione a rifuggire la tentazione di tornare indietro per ricercare, di fronte alla crisi morale odierna, sicurezze in modelli teologici, praticati in passato ma non più in grado di suscitare la speranza di bene nel contesto culturale attuale. Il riferimento è in particolare alla casistica che, forse, potrebbe essere riportata in auge proprio dalle problematiche morali e pastorali relative all’applicazione del capitolo ottavo dell’Amoris laetitia.
Probabilmente non tutti gli approcci di tipo casistico risulteranno necessariamente inadeguati (cfr. K. Demmer, Fondamenti di etica teologica, Assisi 2004, 284-285) e anche circa l’applicazione della casistica si potrà fare discernimento. Il Papa si riferisce però a quel modello di casistica che esclude il discernimento della coscienza del soggetto e che già Josef Pieper, nella prima metà del secolo scorso, denunciava come inadeguato, perché prescinde sistematicamente dalla considerazione dell’esercizio della virtù della prudenza: «Una dottrina morale null’altro che casistica presuppone non solo la minorità degli uomini, bensì acuisce ed eterna questa minorità […]. La virtù della prudenza invece – come potere perfetto di decisione corrispondente a realtà – è il compendio della maggiorità etica» (J. Pieper, Sulla prudenza, Brescia 1965, 58).