Il battesimo di Gesù. Perché?
di Francesco Vermigli · Con la ricorrenza liturgica del Battesimo del Signore si chiude il tempo del Natale. Nelle prediche e nelle catechesi, l’attenzione solitamente cade sulla situazione singolare che i Vangeli sinottici descrivono: il Figlio di Dio incarnato, Gesù il Salvatore del mondo si mette in fila con il popolo di Israele per farsi battezzare da Giovanni nel Giordano. Nelle prediche e nelle catechesi, ci si sofferma sovente sull’esempio di umiltà che Gesù ci offre: lui che è il Figlio Unigenito del Padre incarnato si fa battezzare come se fosse un peccatore. Oppure si sottolinea come in questa scena egli si ponga assieme al popolo, come egli si faccia compagno di un intero popolo che desidera la venuta del Messia e che anela un tempo nuovo: quella venuta e quel tempo che la persona e la missione di Giovanni il Battista annunciano.
In effetti, la situazione è singolare e si ritiene che il battesimo di Gesù sia il caso più emblematico da far passare attraverso quel criterio che va sotto il nome di “criterio dell’imbarazzo”: quel criterio, cioè, usato in cristologia, secondo il quale se un episodio della vita di Gesù è per lui “imbarazzante” (cioè contraddittorio ad un’immagine stereotipata di Gesù), allora è vero. Perché nessuno avrebbe mai inventato un episodio in cui il Salvatore senza peccato si mette in coda per ricevere un battesimo di purificazione.
A ben vedere, gli stessi Vangeli manifestano questo imbarazzo ed è possibile percorrerli e scoprire come lentamente essi tendano a neutralizzare questo episodio. Mentre Marco riporta il racconto in maniera asciutta e sintetica, Matteo aggiunge le parole di Giovanni il Battista che dice che dovrebbe essere piuttosto lui ad essere battezzato da Gesù. E mentre nel Vangelo di Luca si riporta il racconto del battesimo, ma non si dice che è Giovanni a battezzare, nel Vangelo secondo Giovanni addirittura non si accenna all’episodio del battesimo.
In altri termini, l’episodio del battesimo di Gesù nel Giordano può essere considerato come una teofania, come una manifestazione della Trinità. In questa teofania si dichiara che l’identità di Gesù è quella di essere il Figlio unigenito del Padre e che su di lui scende la potenza dello Spirito. Questo episodio è stato utilizzato nel corso della storia per legittimare teorie erronee circa la persona di Gesù. In modo particolare nei primi secoli del cristianesimo, diverse frange della Chiesa intesero affermare che quella avvenuta sul Giordano è una “divinizzazione” di un uomo. Semplificando, queste frange leggevano in tal modo le parole che scendevano dall’alto: “Tu sei da oggi il mio Figlio”. Posizione che risultava confermata a loro giudizio dalla stessa discesa dello spirito di Dio su Gesù.
Ebbero buon gioco i Padri della Chiesa a mostrare come i racconti evangelici non potessero essere intesi in questi termini, dal momento che il battesimo di Gesù nel Giordano è piuttosto manifestazione di una condizione di Figlio che è da sempre e che solo in quel particolare momento viene manifestata, per così dire, pubblicamente. D’altra parte, vi furono anche alcuni Padri (su tutti Ireneo di Lione) che – pur ovviamente ribadendo che il battesimo non sia una sorta di filiazione adottiva di Gesù da parte di Dio – presero sul serio la discesa dello Spirito su Gesù, come atto che segna l’inizio della missione di Gesù, della sua vita pubblica.
Pur non disdegnando di far attenzione agli argomenti parenetici insiti nell’episodio del battesimo di Gesù – e su cui solitamente riflette l’omiletica – pare dunque rilevante ai fini di una corretta comprensione della figura e della missione di Gesù cogliere tutte le implicazioni teologiche che si intrecciano in quell’episodio.