Come si concilia la possibilità di una pena eterna con l’affermazione della misericordia di Dio?

di Gianni Cioli · Nell’ambito della rubrica “Risponde il teologo” del settimanale Toscana oggi, un lettore poneva, qualche tempo fa (19/02/2017), la seguente questione:

La questione posta dal lettore, in realtà, non è affatto banale. Non scaturisce semplicemente dalla considerazione delle ragioni della misericordia che possono contrastare, come spesso si ritiene, con quelle della giustizia. Il lettore si chiede invece se non debbano essere proprio le ragioni della giustizia ad escludere la prospettiva di una pena infinita, dato che l’atto umano non può, proprio perché umano, avere un valore infinito.

La questione posta in questi termini suona suggestiva ma la risposta a cui sembrerebbe condurci non è tuttavia ovvia.

D’altra parte la filosofia, anche nella modernità, non ha cessato di indagare sul possibile significato infinito dell’azione posta dall’essere umano nella sua finitudine (cf. M. Blondel, L’Action. Essai d’une critique de la vie et d’une science de la pratique, 1893).

 cattolici del novecento, in un appassionato saggio: Sperare per tutti (Milano 1988) – è necessario assumere una disposizione di grande umiltà e cautela derivante dalla consapevolezza di stare al di sotto del giudizio di Dio e non al di sopra di esso. È necessario inoltre tener conto delle delimitazioni invalicabili tracciate dal magistero della Chiesa che insegna l’esistenza dell’inferno e condanna la dottrina dell’Apocatastasi, ovvero della restituzione finale dell’intera creazione, inclusi i peccatori, i dannati e i demoni, a uno stato di beatitudine perfetta (Denz 411). Insomma, se si vuole aderire alla dottrina cattolica, non si può escludere la possibilità di una pena eterna.

Questo non significa che non sia legittimo sperare per tutti, per riprendere il titolo italiano del saggio di von Balthasar che abbiamo ricordato (che nella versione originale suona però Was düfren wir hoffen? Che cosa possiamo sperare?). Ma semplicemente significa che non possiamo presumere, per un essere umano, l’assoluta impossibilità di chiudersi alla misericordia di Dio con un «no!» ostinato. Come ricorda anche il Catechismo degli adulti della Conferenza episcopale tedesca (1985): «Né nella sacra Scrittura, né nella Tradizione di fede è detto con certezza di alcun uomo che egli si trovi effettivamente nell’inferno. È vero invece che l’inferno viene sempre tenuto davanti agli occhi come una possibilità reale, legata all’esigenza di conversione». Insomma posso sperare per tutti. Ovvero posso sperare che nessun essere umano si ostini nel rifiuto della misericordia di Dio e quindi si autocondanni all’inferno. Ma dovrò al contempo anche sinceramente temere per me, e vigilare sull’autenticità della mia vita, perché non posso affatto presumere che per me una simile ostinazione sia impossibile.