San Giuseppe. Patrono perché padre
La ricorrenza permette di apprezzare, per transennam, la distanza della nostra da un’epoca come quella, connotata dalle grandi tensioni tra il Piemonte sabaudo e ciò che rimaneva dello Stato Pontificio. Ci permette di cogliere come la chiamata di san Giuseppe a patrono della Chiesa fosse stata concepita anche a partire dall’urgenza di quei tempi, nei quali si percepivano crescenti gli attacchi alla Chiesa. Eppure, dall’altro lato, ci permette di apprezzare quanto – in questo anno 2020 – il rinnovarsi di questa invocazione della custodia di Giuseppe sulla Chiesa valichi le epoche e le situazioni storiche che possano averne originato la dichiarazione.
Quale la ratio teologica che è alla base di questa dichiarazione di Pio IX e rinnovata da Francesco? Si direbbe che la si debba intendere in analogia a quello che accade con Maria e la sua intitolazione a Madre della Chiesa. Come la maternità divina di Maria si trasfonde alla Chiesa, così la custodia e la protezione che nella loro vita il Bambino Gesù e Maria stessa hanno ricevuto da Giuseppe si trasmette alla Chiesa, che è prolungamento del Corpo di Cristo. Ne è ben cosciente la lettera: «San Giuseppe non può non essere il Custode della Chiesa, perché la Chiesa è il prolungamento del Corpo di Cristo nella storia, e nello stesso tempo nella maternità della Chiesa è adombrata la maternità di Maria. Giuseppe, continuando a proteggere la Chiesa, continua a proteggere il Bambino e sua madre». Così facendo, anche la proclamazione di Giuseppe a patrono della Chiesa contribuisce al radicamento cristologico dell’ecclesiologia.
Il testo della lettera apostolica è piuttosto agile. Molti i riferimenti, come ovvio, ai momenti capitali della presenza di Giuseppe accanto a Gesù e a Maria, per come vengono raccontati dai Vangeli di Matteo e Luca. Il testo si articola attorno ad alcune parole chiave: tenerezza, obbedienza, accoglienza, coraggio, lavoro… Ma ciò su cui vorremmo con maggiore dettaglio fermarci è l’ultima sezione della lettera, che si avvolge attorno ad un’immagine bella ed evocativa, che il papa prende da un romanzo dello scrittore polacco Jan Dobraczyński: Giuseppe “padre nell’ombra”. Nei confronti di Gesù, Giuseppe è come l’ombra del Padre. Lo custodisce, lo protegge, lo fa crescere, rivolge a Gesù il suo affetto e la sua continua attenzione.
Giuseppe è casto, perché introduce il figlio nella vita, lo guida, lo custodisce, ma mai lo possiede affettivamente: «La castità è la libertà dal possesso in tutti gli ambiti della vita […] L’amore che vuole possedere, alla fine diventa sempre pericoloso, imprigiona, soffoca, rende infelici». Dunque egli è castissimo perché sommamente capace di lasciar libero. Giuseppe è modello del padre libero, che lascia liberi. È il padre che riconosce il mistero della vita del figlio e che si fa da parte, lasciando spazio. Perché un padre è «consapevole di completare la propria azione educativa e di vivere pienamente la paternità solo quando si è reso “inutile”, quando vede che il figlio diventa autonomo e cammina da solo sui sentieri della vita».