di Francesco Romano • Ogni Istituto di vita consacrata è depositario di un patrimonio che include «il pensiero e i propositi dei Fondatori […] circa la natura, il fine, lo spirito e l’indole dell’Istituto e le sue sane tradizioni». Carisma e patrimonio spirituale di un Istituto hanno origine divina e devono essere salvaguardati e «custoditi fedelmente da tutti» (can. 578) perché costituiscono una ricchezza per la Chiesa intera.
Il valore ecclesiale del patrimonio spirituale di un Istituto di vita consacrata fonda il diritto alla giusta autonomia di vita e di governo nell’ambito della Chiesa a tutela della sua identità e integrità (can. 586 §1). Tale autonomia, essendo un diritto nativo, è insita nella natura stessa dell’Istituto di vita consacrata che trae origine dallo Spirito.
Gli Ordinari del luogo, non soltanto devono riconoscere l’autonomia degli Istituti di vita consacrata, ma anche proteggerla (can. 586 §2). Infatti, soprattutto attraverso l’autonomia normativa e di governo che la rende “giusta”, l’Istituto di vita consacrata è in grado di perseguire le sue finalità.
Il carisma è un dono dello Spirito e per questo reclama non poche esigenze nello stile di vita delle persone consacrate. La vita consacrata è nella Chiesa e della Chiesa, anzi «quantunque non riguardi la struttura gerarchica della Chiesa, appartiene tuttavia alla sua vita e alla sua santità» (can. 207 §2).
La Chiesa ha anche la missione di prevenire e governare i conflitti che possono insorgere all’interno del suo corpo sociale. La responsabilità alla quale i Pastori della Chiesa locale sono chiamati verso gli Istituti di vita consacrata, ancorché con la lodevole intenzione di custodirne il carisma, potrebbe dare origine ad attriti e incomprensioni. Questo è quanto la storia ha registrato con qualche frequenza.
Diversa è la situazione odierna grazie allo sforzo di comprensione e approfondimento che ha fatto la Chiesa dopo la promulgazione del Codex 1917 fino al Concilio Vaticano II e alla promulgazione del Codex 1983 sul piano dottrinale e giuridico, sviluppando, accanto al riconoscimento del diritto nativo alla “giusta autonomia”, la norma relativa all’istituto giuridico della “esenzione” con cui il Romano Pontefice, in forza del suo primato sulla Chiesa universale, affranca tutto o in parte un Istituto di vita consacrata dalla giurisdizione dell’Ordinario del luogo per meglio corrispondere alla tutela dei carismi di un Istituto e alle necessità dell’apostolato nell’affidargli una missione da compiere per il bene di tutta la Chiesa al cui servizio i carismi sono ordinati.
Alla vigilia del Concilio la riflessione intorno all’esenzione andava percependo questo istituto giuridico non tanto come un privilegio difeso o combattuto, quanto piuttosto come la ricerca di una possibile cooperazione nelle attività apostoliche che fosse espressione di una mediazione tra giurisdizione dei Vescovi e competenze dei Superiori religiosi per una reciproca collaborazione pastorale.
Il Codex pio-benedettino ai cann. 499 §1, 500 §§1-2, 501 §1 e 615 si presentava come la sintesi dell’evoluzione storica dell’esenzione iniziata già al VII-VIII secolo: gli Ordini religiosi restavano sottomessi al Romano Pontefice e all’Ordinario del luogo. Si ponevano come eccezione gli Ordini religiosi esenti a iure o per privilegio particolare. L’esenzione era un privilegio che sottraeva persone, case e cose alla giurisdizione dell’Ordinario del luogo. Il diritto, tuttavia, prevedeva una larga serie di eccezione al privilegio dell’esenzione a favore dell’Ordinario del luogo.
La mens conciliare orienta l’istituto giuridico dell’esenzione verso un ambito più pienamente ecclesiale come ricerca del bene dell’Istituto religioso in armonia con le finalità della Chiesa e il bene di tutti i fedeli, cioè come un unico bene da tutelare.
La Lumen gentium al n. 45 sottolinea che l’esenzione dalla giurisdizione dell’Ordinario del luogo può essere concessa dal Romano Pontefice a un Istituto religioso, il quale verrebbe così a ricadere direttamente ed esclusivamente sotto la sua potestà circa l’ordine interno, «in vista della comune utilità» (LG 45). Mentre, per quanto riguarda l’ordine esterno, i religiosi «devono, conforme alle leggi canoniche, prestare riverenza e obbedienza ai Vescovi» (LG 45).
L’esenzione, quindi, non appare più come un privilegio concesso a iure universali o per attribuzione particolare fatta a un Istituto. Ogni Istituto religioso può ricevere a giudizio del Romano Pontefice l’esenzione per quanto concerne l’ordine interno.
Infine, l’obbedienza ai Vescovi nell’ambito esterno, vede come fine immediato «la necessaria unità e concordia nel lavoro apostolico» (LG 45).
Il can. 591 non incide sulla situazione in cui si trovavano gli Istituti di vita consacrata prima della promulgazione del Codex 1983 in relazione all’istituto dell’esenzione acquisito per privilegio. Esso rimane, non essendo stato espressamente revocato dal Codice. La novità introdotta dal can. 591 riguarda la situazione sia degli Istituti di vita consacrata preesistenti all’attuale Codice che non beneficiano dell’esenzione, sia di quelli sorti successivamente. Per loro l’esenzione non si ottiene più automaticamente per privilegio o a iure come prevedeva il can. 615 del Codex 1917.
Oggi l’esenzione è una possibilità nelle mani del Papa che con il suo intervento positivo può concederla a qualsiasi Istituto di vita consacrata, preso singolarmente, per motivazioni specifiche. Pertanto, l’attuale istituto giuridico dell’esenzione non è più un diritto codificato, ma una concessione derivante dalla discrezionalità del Romano Pontefice in forza del suo primato sulla Chiesa universale per provvedere al bene dell’Istituto e alle necessità dell’apostolato.
L’ampiezza dell’esenzione non è specificata dal Codice, ma può riguardare l’Istituto di vita consacrata, tutto o in parte; come pure l’estensione territoriale, più o meno circoscritta, e la sua durata, temporanea o in perpetuo. Le coordinate dell’esenzione rientreranno nel decreto che sarà emesso dalla Santa Sede con specifiche clausole.
L’esenzione, per quanto possa essere estesa, non sottrae del tutto gli Istituti di vita consacrata e i loro membri dalla soggezione al Vescovo diocesano. Il Decreto Christus Dominus sull’ufficio pastorale dei vescovi, limita l’esenzione dalla giurisdizione dei Vescovi all’ordine interno degli Istituti per consentire al Romano Pontefice di disporre dei religiosi «per il bene della Chiesa universale; e alle altre competenti Autorità di servirsi della loro opera, a vantaggio delle Chiese sottoposte alla loro giurisdizione» (CD 35, 3). Il Decreto Christus Dominus detta allo stesso tempo i limiti che salvaguardano la giurisdizione dei Vescovi nell’ambito della loro circoscrizione, esterna rispetto al governo interno dell’Istituto di vita consacrata: «Ma tale esenzione non impedisce che i Religiosi nelle singole diocesi siano soggetti alla giurisdizione dei Vescovi, a norma del diritto, come richiedono sia il ministero pastorale dei Vescovi, sia un’appropriata cura delle anime» (CD 35, 3).
Il documento Mutuae relationes specifica anche il rapporto strettamente giuridico che permane tra l’Ordinario del luogo e i religiosi, anche esenti, presenti nella sua diocesi: «Si abbiano sempre presenti le seguenti disposizioni del motu proprio Ecclesiae sanctae: a) Tutti i religiosi, anche esenti, sono tenuti alle leggi, ai decreti e alle disposizioni dell’Ordinario del luogo circa le diverse opere in quegli aspetti che si riferiscono all’esercizio dell’apostolato, nonché all’azione pastorale e sociale prescritta o raccomandata dall’Ordinario del luogo. b) Parimenti sono tenuti alle leggi, decisioni e disposizioni, emanate dall’Ordinario del luogo o dalla Conferenza episcopale […] leggi che riguardano vari elementi ivi riferiti (ES I, 15, 1-2, a, b, c, d)» (MR 53).
Queste limitazioni furono riprese nei canoni che trattano l’attività apostolica: «I Religiosi sono soggetti alla potestà dei Vescovi, ai quali devono rispetto devoto e riverenza in ciò che riguarda la cura delle anime, l’esercizio del culto pubblico divino e le altre opere di apostolato (can. 678 §1). La triade del can 678 §1 si concretizza, per esempio, nel diritto del Vescovo diocesano di «visitare i membri degli Istituti religiosi e le loro case solo nei casi espressamente previsti dal diritto» (can. 397 §2) come per esempio «le chiese e gli oratori cui accedono abitualmente i fedeli, le scuole e le altre opere di religione o di carità spirituale o temporale affidate ai religiosi; non però le scuole aperte esclusivamente agli alunni propri dell’istituto» (can. 683 §1); «Che se eventualmente il Vescovo scoprisse abusi, dopo aver richiamato inutilmente il Superiore religioso, può di sua autorità prendere egli stesso i provvedimenti del caso» (can. 683 §2).
Occorre ricordare anche l’ambito del diritto penale circa la potestà che conserva l’Ordinario del luogo di irrogare pene ai religiosi in tutto ciò che li rende a lui soggetti (can. 1320). In questo senso, oltre al già citato can. 678 §1 circa la cura delle anime, l’esercizio pubblico del culto divino e le altre opere di apostolato, l’azione penale del Vescovo diocesano può riguardare i religiosi per le opere che lui affida loro (can. 681 §1), come pure la rimozione da un ufficio che il Vescovo diocesano ha conferito al religioso (can. 682 §2).
Vi sono, poi, gli abusi che il Vescovo diocesano può riscontrare in occasione della visita pastorale o fuori di essa, nelle chiese o negli oratori dei religiosi a cui accedono abitualmente i fedeli, nelle scuole esterne e nelle altre opere di religione o di carità spirituale o temporale da essi dirette. Il Vescovo diocesano può prendere in questi casi di sua autorità i provvedimenti dopo aver richiamato inutilmente il superiore religioso (can. 683 §§1-2). Inoltre, il Vescovo diocesano può proibire, a un religioso soggetto alla sua giurisdizione, a determinate condizioni e come sanzione da irrogare processualmente, di dimorare nella sua diocesi (can. 679) o di infliggergli l’ingiunzione di dimorare in un determinato luogo o territorio (can. 1337 §1).
Il carisma non è solo da difendere, ma anche da diffondere. La sua natura ecclesiale lo reclama al servizio della Chiesa nel rispetto della sua specifica missione che lo connota. Il Sommo Pontefice, affidando a un Istituto di vita consacrata un servizio apostolico, riconosce lo specifico valore funzionale del suo carisma nella realizzazione della missione che gli viene assegnata. L’esenzione è un atto con cui il Papa tutela direttamente quel carisma guardando alle “necessità dell’apostolato” (can. 591). L’esenzione è anche una tutela “per meglio provvedere al bene degli Istituti” (can. 591). Si tratta di una tutela straordinaria, come provvedimento speciale, perché ordinariamente il bene degli Istituti è già garantito a iure con la “giusta autonomia” (can.586).