Jean Daniélou passando da Giovanni Battista. Con parole e documenti per preziosi incontri.

298 396 Carlo Nardi
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1468271112di Carlo Nardi • Jean Daniélou (1905-1974), teologo della Compagnia di Gesù, volle illustrare la vita e il pensiero di san Giovanni Battista, ultimo profeta della legge e in grembo già graziato dal Figlio di Dio (cf. il mio Le perplessità di Giovanni Battista. Fragilità e grandezza, in Il mantello della giustizia in rete, dicembre 2014). A proposito del Battista Daniélou pubblicò un libretto nel 1964, ovviamente in francese, che nel ’65 fu tradotto in italiano: Giovanni Battista. Testimone dell’Agnello per la Morcelliana di Brescia.

Nel leggere la Prefazione (p. 7) mi è rimasta una considerazione dell’autore:

due dimensioni sono ugualmente legittime ed egualmente rigorose. La Storia è contemporaneamente Storia scientifica, alla quale si accede attraverso i documenti, e Storia sacra, in cui penetra lo sguardo profetico. L’importante è di muoversi su entrambi i toni, senza separarne gli oggetti ma rispettandone i metodi. Si tratta di livelli differenti all’interno di una realtà che è una. Sono modi di procedere complementari, che si giustificano l’un l’altro, ben lungi dal contraddirsi.

Senza ombra di dubbio si tratta semplicemente di distinguere. Del resto il libro dell’autore è chiaro: già nel distinguere tra storiografia e storia della salvezza. E il teologo, e non solo, deve avvalersi d’un procedimento schietto con distinzioni rasserenanti e rispettose sia della grazia sia della natura.

Nel trovarmi di fronte a Daniélou mi vien da pensare alla ‘storia’ come filologia e alla ‘storia’ come storia della teologia, ambedue distinte eppure unite e unite eppur distinte. La prima ‘storia’, in quanto filologia, per esempio la storia della antichità cristiana, si esprime in documenti nell’ambito del pensiero umano nella cosiddetta cultura; la seconda ‘storia’ invece procede mediante la fede, finché s’india (Dante) nel gran mare (Platone) della grazia in attesa alla gloria. Ambedue le ‘visioni’ non devono confondersi per separarsi né separarsi per confondersi, dal momento in cui l’intento umano si placa e s’innalza nell’unire per distinguere e nel distinguere per unire.jean-danielou (1)

Ancora. La filologia ci parla ovviamente di parola, ma, qualora sia ‘parola fattasi uomo’ (cf. Gv 1,14), allora la medesima parola è ricevuta come teologia in tutto e per tutto. Eppure la stessa teologia, specialmente la cosiddetta positiva, come storia della salvezza o senso pleniore delle Scritture, o patristica, nonché meditazione o lectio divina, ci parla anche di carte e d’inchiostri (l’apostolo Paolo!), e di torchi e rotatorie e online, come dire in rete: una parola del tempo che fu per intendere cose dell’oggi.

E una considerazione. La faccenda del gesuita Daniélou mi ricorda, tutto dire, l’antico giansenista Blaise Pascal: «Tutta la nostra dignità consiste dunque nel pensiero (Toute notre dignité consiste donc en la pensée)»; «Sforziamoci dunque a ben pensare: ecco il principio della morale (Travaillons donc à bien penser: voilà le principe de la morale)» (Frammenti, a cura di E. Balmas con una prefazione di J. Mesnard, I, Milano, BUR 2002, pp. 274-275: 200 Lafuma, 347 Brunschvicg). I due dotti si ritrovano con noi in una cattolicità immediata e semplice.

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