di Stefano Liccioli • Quest’anno il periodo d’Avvento è stato accompagnato dalle parole di Papa Francesco che il 1 dicembre del 2019 a Greccio ha reso pubblica la lettera apostolica ″Admirabile Signum″. Mi sembra innanzitutto significativo che Papa Francesco precisi che «non è importante come si allestisce il presepe, può essere sempre uguale o modificarsi ogni anno; ciò che conta, è che esso parli alla nostra vita. Dovunque e in qualsiasi forma, il presepe racconta l’amore di Dio, il Dio che si è fatto bambino per dirci quanto è vicino ad ogni essere umano, in qualunque condizione si trovi». Non conta, dunque, l’allestimento scenografico del presepe (anche se certe installazioni veramente mirabili, soprattutto in alcune parrocchie, hanno contribuito a mantenere acceso nella comunità cristiana, ma non solo, l’interesse per il presepe), ma conta, nel comporlo, rivivere la storia che è stata vissuta a Betlemme, «sentirsi coinvolti nella storia della salvezza, contemporanei dell’evento che è vivo e attuale nei più diversi contesti storici e culturali».
Ho trovato inoltre interessante una sottolineatura del Santo Padre su quelle statuine che paiono non avere alcuna relazione con i racconti evangelici:«Eppure, questa immaginazione intende esprimere che in questo nuovo mondo inaugurato da Gesù c’è spazio per tutto ciò che è umano e per ogni creatura. Dal pastore al fabbro, dal fornaio ai musicisti, dalle donne che portano le brocche d’acqua ai bambini che giocano…: tutto ciò rappresenta la santità quotidiana, la gioia di fare in modo straordinario le cose di tutti i giorni, quando Gesù condivide con noi la sua vita divina».
Alla luce di tutto ciò è evidente come il presepe sia un simbolo di alto valore per i cristiani, ma ciò non vuol dire che debba essere relegato solo nelle chiese. Sono infatti sterili e pretestuosi i divieti che vengono fatti alla rappresentazione della Natività nelle scuole o la censura del nome di Gesù nei canti o nelle recite natalizie dei bambini. Spesso si giustificano tali divieti per non offendere la sensibilità degli altri alunni di religione musulmana, omettendo di dire (forse per ignoranza o forse peggio) che per i musulmani Gesù Cristo è un grande profeta e per loro non costituisce un’offesa la rappresentazione della Sua nascita.
Le vere motivazioni che spingono a vietare il presepe negli spazi pubblici nascono piuttosto da quel laicismo esasperato che si annida tra alcuni “benpensanti” o “menopensanti” che negano un fatto evidente: le radici culturali europee sono anche cristiane. Se si vieta nelle scuole un simbolo religioso come il presepe presto si arriverà vietare anche l’insegnamento della storia dell’arte medievale e moderna che nella maggior parte dei casi raffigura temi sacri oppure si impedirà la lettura di Dante, Petrarca, Manzoni e di tutti quegli autori che parlano di Dio.
Oltre al rischio della censura il presepe corre d’altra parte anche quello di diventare un elemento folcloristico da esibire, un simbolo “zuccherato”. La vicenda della nascita di Gesù non è infatti una storiella rassicurante, ma qualcosa di sovversivo, un vero atto di accusa contro la società di duemila anni fa e contro quella di ogni tempo (compresa la nostra) nella misura in cui ci si dimentica di quelli che, nel cuore di Dio, sono al primo posto: i poveri, i più deboli, i più fragili e gli indifesi. Come scrive Erri De Luca, a Natale non si celebra l’agio familiare:«Natale è lo sbaraglio di un cucciolo di redentore privo pure di una coperta. Chi è in affanno, steso in una corsia, dietro un filo spinato, chi è sparigliato, sia stanotte lieto. È di lui, del suo ingombro che si celebra l’avvento».
Oggi come duemila anni fa non dobbiamo aver paura della nascita di Gesù e tanto meno della sua rappresentazione. Essa continua ad interpellare tutti gli uomini, non solo i credenti e dobbiamo reagire né con l’indifferenza di chi dorme né con la paura di Erode: se il suo palazzo di solito trova spazio nel presepe non è per celebrarlo, ma solo per ricordarci che Dio abbassa i potenti ed innalza gli umili.