La perdita dell’egemonia americana e la nuova guerra fredda

750 500 Mario Alexis Portella
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foto1di Mario Alexis Portella • Il 4 ottobre 2018, il vicepresidente degli Stati Uniti, Mike Pence, ha pronunciato un caustico discorso a Washington, sciorinando una lunga lista di gravi addebiti alla Cina. A partire dalle dispute territoriali nel Mar Cinese Meridionale alla presunta ingerenza nelle elezioni statunitensi, Pence ha accusato Pechino di infrangere norme internazionali e di agire contro gli interessi americani. Il tono era abbastanza insolito e tagliente tanto da essere interpretato come un prodromo di una nuova guerra fredda tra le due potenze.

Tali analogie storiche sono tanto popolari quanto fuorvianti, ma l’accostamento contiene un nucleo di verità: l’interregno post-Guerra Fredda dell’egemonia degli Stati Uniti è finito, e la bipolarità tornerà, con la Cina che interpreta il ruolo di superpotenza. La transizione sarà probabilmente un evento tumultuoso, forse addirittura violento, poiché l’ascesa della Cina metterà il paese in rotta di collisione con gli Stati Uniti su una serie di interessi. Ma mentre Washington si svincola lentamente da alcuni dei suoi impegni diplomatici e militari all’estero, Pechino non ha ancora un piano chiaro per riempire questo vuoto di leadership e ridefinire da zero un nuovo assetto geo-politico internazionale.

Che tipo di ordine mondiale questo scontro potrà produrre? Contrariamente a quanto profetizzano le voci più allarmiste, un mondo bipolare americano-cinese non sarà un mondo sull’orlo di una guerra apocalittica, perché le ambizioni della Cina per i prossimi anni sono molto più limitate di quanto molti, nella politica estera occidentale, tendano ad ipotizzare; lo stesso dicasi per i rapporti tra gli Stati Uniti d’America e la Federazione Russa di Vladimir Putin. Questo bipolarismo instaurerà un periodo di pace precaria tra le due nuove superpotenze e l’Usa. Entrambe le parti rafforzeranno il loro apparato militare con una corsa agli armamenti, ma saranno ben attente a gestire le tensioni prima che si trasformino in un conflitto catastrofico. Piuttosto che rifiutare di considerare e trattare gli Stati Uniti come la superpotenza principale del mondo, la politica estera di Russia e Cina nel prossimo decennio si concentrerà principalmente sul mantenimento delle condizioni necessarie per la continua crescita economica dei due paesi, un obiettivo che potrebbe indurre i leaders di Mosca e Pechino ad evitare lo scontro aperto con gli Stati Uniti, ma non necessariamente con i suoi alleati.foto 2

Per quanto riguarda l’ex-Unione Sovietica, la lotta ideologica mondiale tra capitalismo e comunismo appartiene ormai alla storia, ma è da rilevare che il presidente russo si è “consacrato” leader di un rinnovato movimento nazionalista e conservatore in opposizione ad un Occidente in piena decadenza. Per diffondere e far radicare nel popolo la nuova concezione di nazione ed il suo programma, il governo russo si è prodigato in enormi investimenti in stazioni televisive e radio, reti di social media e “social network” di Internet, ed ha impiegato somme ingenti per sostenere politici che all’estero sono schierati sulle stesse posizioni. La migliore definizione delle attuali ostilità non è, pertanto, “guerra fredda” quanto piuttosto “pace calda”.

Donald Trump, con le sue pubbliche manifestazione di ammirazione per Vladimir Putin, gli ha sostanzialmente offerto, a giudizio di alcuni osservatori nazionali, l’opportunità di interferire a suo favore nelle elezioni americane del 2016. Considerata questa, la prima volta da quando, negli ultimi dieci anni, la Russia ha iniziato a servirsi di tali strumenti cibernetici, come arma politica. Di conseguenza, Putin sta sostituendo l’egemonia americana in varie regioni del Medio Oriente, così come Xi Jinping la sostituisce in Africa.

La crescente influenza di Cina e Russia sulla scena mondiale è, dunque, una conseguenza dell’abdicazione degli Stati Uniti alla loro leadership globale aggravatasi sotto l’attuale presidenza, e dello sviluppo economico di Mosca e Pechino. Inoltre, è venuta meno a livello internazionale la precedente certezza che gli Stati Uniti avrebbero continuato a promuovere, attraverso la diplomazia e, se necessario, il potere militare, un ordine internazionale costruito su principi liberali. Con Trump, l’America ha rotto con questa tradizione, mettendo in discussione il valore del libero scambio e abbracciando un nazionalismo esasperato e senza esclusione di colpi a danno anche delle nazioni alleate. L’attuale amministrazione è impegnata a modernizzare l’arsenale nucleare, perseguendo una politica ambivalente, di aperture e chiusure, di approcci e minacce, con paesi sia amici che nemici, e recedendo da diversi accordi e istituzioni internazionali. Da sottolineare che nel 2018 Trump non soltanto ha giustificato l’annessione della Crimea alla Russia asserendo che <<La Crimea fa parte della Russia perché tutti parlano russo>>, ma ha anche denunciato il Trattato stipulato nel 1987 con Mosca sugli armamenti nucleari ad intervallo intermedio inducendo così Putin a (o almeno fornendogli il pretesto per) muoversi più liberamente nei rapporti con l’Usa e i suoi alleati.

La mancanza di una politica concreta e costante di Trump a livello internazionale indubbiamente sta agevolando un’egemonia cinese-russa. Questa situazione non favorisce certo un’autentica, stabile e giusta pace, ma, come disse Papa San Paolo VI nel suo messaggio in occasione della Prima Giornata della Pace del 1 gennaio 1968, una <<sopravvivenza degli egoismi nei rapporti tra le nazioni….[un] pericolo di credere che le controversie internazionali non siano risolvibili per le vie della ragione, cioè delle trattative fondate sul diritto, la giustizia, l’equità, ma solo per quelle delle forze deterrenti e micidiali>>. Per averne conferma si pensi alle guerre per procura tra le potenze nel mondo islamico o al commercio del petrolio e di altre risorse naturali, in nome dei quali giustificano spesso anche le diffuse violazioni di ogni diritto umano. E a questo punto mi appare importante riportare altre parole pronunciate dallo stesso Paolo VI che meritano una profonda riflessione: <<La pace non può essere basata su una falsa retorica di parole, bene accette perché rispondenti alle profonde e genuine aspirazioni degli uomini, ma che possono anche servire, ed hanno purtroppo a volte servito, a nascondere il vuoto di vero spirito e di reali intenzioni di pace, se non addirittura a coprire sentimenti ed azioni di sopraffazioni o interessi di parte>>.

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Mario Alexis Portella

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