di Francesco Romano • Il significato funzionale del diritto, ossia la sua ratio, ha la sua ragion d’essere nell’organizzare gli uomini di una determinata società per il raggiungimento del fine che le è proprio con un complesso di norme, di atti coercitivi e di strumenti giuridici. Oltre alla funzione istituzionale che il diritto ha di organizzare e investire di autorità chi detiene il potere, è necessario ricercare il suo significato essenziale che risponda alla domanda cosa sia il diritto, quid sit ius. L’uomo è il punto di riferimento centrale che permette di coniugare la sua esigenza di giustizia, legata alla sua stessa natura, con il diritto che scaturisce dalla legge, cioè quel complesso di norme che con la loro attuazione organizzano una società e rendono concreta la giustizia.
L’esigenza dell’uomo in quanto essere umano, visto nella sua apertura trascendente, coincide con l’esigenza di giustizia che a lui è connaturata. Il principio ubi homo ibi societas rende evidente che la società è in funzione dell’uomo e non il contrario. E’ all’interno della società che l’uomo è chiamato a vivere secondo giustizia e ad attuarla. Nel momento in cui sorgono le istituzioni e cominciano ad aver vita gli ordinamenti, all’origine c’è sempre l’uomo come suo fondamento. Ogni organizzazione sociale non può prescindere dall’avere un proprio ordinamento, ubi societas ibi ius, ma l’uomo precede la società, ergo ubi homo ibi ius.
S. Agostino nel II Libro del De civitate Dei si rifà al De republica di Cicerone circa l’organizzazione della Stato e i rapporti con la società civile. Il popolo è multitudo iuris consensu et utilitatis communione sociata, cioè una pluralità di persone tenute insieme dal consenso sul reciproco riconoscimento dei diritti. Il popolo se fosse ingiusto non sarebbe più tale perché non consterebbe di una pluralità di persone associate dal consenso sul reciproco riconoscimento dei diritti e dalla comunanza degli interessi, ma abbandonata la giustizia, riflette Agostino nei Lib. IV e XIX del De civitate Dei, a che cosa si ridurrebbero i regni se non a grandi latrocini? Remota iustitia quid sunt regna nisi magna latrocinia? Abbandonata l’idea di giustizia anche un regno resterebbe solo una banda di malfattori. La giustizia secondo S. Agostino è la virtù che distingue una persona dall’altra, ma anche un popolo dall’altro, una civitas constituta, una comunità organizzata a Stato dall’altra.
Il diritto ha fondamento antropologico perché è proprio dell’uomo ed esigenza della sua natura vivere secondo giustizia. L’uomo precede la società, ubi homo ibi societas, e il diritto prima di tutto è chiamato a realizzare la sua esigenza di giustizia, come valore metafisico che gli appartiene, prima ancora di guardare alle finalità pratiche di tipo organizzativo della società dettate dalle norme del legislatore. Nell’uomo il diritto trova la sua ragion d’essere. D’altra parte, neppure si potrebbe pensare all’uomo, in quanto persona chiamata a vivere secondo giustizia, privandolo della dimensione giuridica che lo connota: ubi homo ibi ius. L’esperienza giuridica dell’uomo travalica il complesso normativo che organizza concretamente nel quotidiano la società e le relazioni interpersonali, ma si completa necessariamente del diritto inteso come strumento di attuazione del giusto visto come sua esigenza essenziale. Il diritto, quindi, affonda le sue radici nel mistero dell’uomo al quale la giustizia appartiene come espressione trascendentale e di essa ne è il fondamento. L’esperienza giuridica progredisce e accompagna l’inesauribile conoscenza che si ha dell’uomo. L’uomo e la giustizia sono un idem sentire perché nell’essere umano chiamato a vivere secundum ius affondano le radici dell’esperienza giuridica.
Nell’ordinamento della Chiesa l’esperienza giuridica si forma certamente mettendo l’uomo al centro, ma esso non è l’oggetto di riferimento ultimo della giustizia. Soltanto Dio è il sommo giusto, ipsum iustum, e il diritto della Chiesa ha il suo fondamento in Dio. La razionalità è una proprietà della norma, essa contiene in sé la ratio che esprime la finalità di una comunità alla quale appartiene, la sua ragion d’essere. Nell’ordinamento della Chiesa l’esperienza giuridica si forma su un sistema di norme che riflettono la ratio divina. Ratio è il disegno salvifico di Dio sul popolo che si rivela e si realizza attraverso la legge divina che regola la vita dell’uomo nel rapporto con Dio. Il diritto che definisce e rende concreta la giustizia è razionale se realizza la volontà salvifica di Dio. Pertanto, nella Chiesa il fondamento del diritto non si limita a considerare la sua base antropologica come avviene per ogni sistema giuridico, ma si radica in Dio. Per il cristiano vivere secondo giustizia è vivere la legge di Dio rivelata. La razionalità del diritto riflette la giustizia, il rapporto che intercorre tra gli uomini e tra l’uomo e Dio. Per questo l’ordinamento giuridico della Chiesa esprime la sua finalità salvifica in primo luogo attraverso le norme che hanno come fonte diretta la legge divina.
La Nuova Alleanza è regolata dalla nuova Legge di Gesù che il cristiano accoglie e vive in modo rinnovato rispetto alle norme dell’Antica Alleanza definite da San Paolo come un pedagogo che ci ha guidati a Cristo, ma per quelli che credono, la giustizia di Dio testimoniata dalla Legge e i Profeti, si è manifestata con Gesù indipendentemente dalla legge. L’uomo è dunque reso giusto dall’opera redentrice del Signore, indipendentemente dalle opere della Legge. Cristo è il titolo di giustificazione per l’uomo e il suo giusto agire passa da una stretta osservanza della Legge alla fede nel Salvatore.
La dimensione giuridica per il nuovo Popolo dell’Alleanza si rinnova in Cristo guardando a Lui come nuova Legge e Legislatore. L’essenza della nuova Legge è la ratio divina in quanto definisce il giusto, ma Egli stesso è l’ipsum iustum. La norma razionale è norma che lascia trasparire divinità, cioè quel disegno di Dio sull’uomo che gli consente di realizzare la giustizia insieme alla fede nella sua opera redentrice che lo rende giusto.
Il cristiano giustificato vive il suo rapporto con la legge nella novità portata dal Signore, perché è lo Spirito che dà vita, senza di esso la lettera uccide. Il Signore non è venuto ad abolire la Legge, l’osservanza della legge non è in concorrenza con l’azione salvifica del Salvatore da soccombere di fronte a essa, ma da essa viene ordinata secondo le parole del Signore “cercate prima di tutto il Regno di Dio e la sua giustizia”. Il cristiano si pone di fronte alla legge da uomo reso libero e, per chi crede in Lui, è già reso giusto nella fede “indipendentemente dalla Legge”, capace di interpretare la norma secondo lo Spirito che da vita e riconoscervi quella ratio divina che nel quotidiano lo guida nel conseguimento del fine salvifico.
Per il cristiano, quindi, senza dimenticare o sottovalutare il fondamento antropologico, la norma rivelata resta il fondamento ultimo cui ispirarsi per il discernimento nel ricercare la giustizia nella vita personale e nelle situazioni concrete dei diversi ambiti sociali.