di Antonio Lovascio • Quando un Pontefice giunge al culmine della popolarità si scatenano puntualmente veleni perfidi sul suo Magistero, nella Chiesa ed al di fuori di essa. Nella mia vita, da lontano ho visto soffrire con motivazioni diverse Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI e dopo di lui addirittura un Santo, Giovanni Paolo II, salito al soglio di Pietro appena conclusi i 33 giorni di Albino Luciani e rimastovi per ventisei anni. Sappiamo cosa ha spinto a dimettersi un solido Maestro di Teologia come Joseph Ratzinger. A marzo saranno trascorsi cinque anni dalla fumata bianca di un Conclave scosso dal Vatileaks, dai corvi e dallo sbalordimento per l’improvvisa rinuncia di Benedetto XVI. L’urgenza di un cambiamento era avvertita da tutti. Ed il Sacro Collegio ha individuato in Bergoglio l’uomo del rinnovamento, capace di portare avanti “riforme energiche” per affrontare le nuove sfide della Fede. Ma avvicinandoci proprio al traguardo del primo lustro, largamente positivo, più che registrare un vero e proprio dissenso, oggi vediamo che alcuni fanno fatica (anche certi preti non lo hanno nel loro bagaglio formativo, spirituale e pastorale) ad interpretare questo percorso con “discernimento”, la parola chiave di questo pontificato.
Il “laboratorio dei veleni” è in funzione da tempo contro l’ottantunenne Papa Francesco, tanto amato dalla gente semplice, che affolla piazza San Pietro e le mete dei suoi Viaggi Pastorali. Ha conquistato anche i non credenti perché non si stanca di invitare “a vedere Gesù nei figli dei disoccupati e dei migranti”, a non distrarsi mentre sul mondo “soffiano venti di guerra e un modello di sviluppo ormai superato continua a produrre degrado umano, sociale e ambientale”. Le prime critiche si sono alzate quando ha accorpato alcuni Dicasteri, è intervenuto sulla gestione economica dello IOR, nella lotta alla pedofilia, ed ha cominciato a sperimentare nuovi organismi di consultazione proprio per incidere sul clericalismo ed il carrierismo ecclesiastico. Il circuito mediatico ha dato molto risalto ai casi del cardinale australiano George Pell e del revisore generale dei conti vaticani Libero Milone; e al mancato rinnovo del mandato quinquennale al cardinale Gerard Muller (prefetto della Congregazione per la dottrina della fede) che insieme al presidente della Congregazione per il Culto divino card. Robert Sarah ed al prof. Ettore Gotti Tedeschi – un passato al vertice dell’Istituto per le Opere di Religione – aveva espresso critiche su alcuni punti (riguardanti la comunione ai divorziati) di “Amoris Laetitia”, documento conclusivo dei due Sinodi dei Vescovi dedicati alla famiglia.
Ma la fronda anti-Francesco si è poi accentuata a settembre via Internet, sui siti e blog di tradizionalisti e di incalliti buontemponi. Per non parlare di lettere anonime fatte recapitate provocatoriamente anche a religiosi e laici che stanno mettendo in pratica gli insegnamenti di Papa Francesco in tema di accoglienza: significative quelle inviate al gesuita P. Ennio Brovedani direttore della Fondazione Stensen di Firenze , forse scelto non solo come uomo di Cultura, educatore e formatore di coscienze, ma soprattutto per la generosa, concreta testimonianza di Carità cristiana data ad una ottantina di somali che hanno occupato per mesi il complesso di via Spaventa.
L’esercizio delle “Fake News” continua nonostante Bergoglio raccomandi di “amare la verità, essendo onesti con se stessi e con gli altri”. Lui stesso ne è il primo bersaglio. Accusato , spesso in modo ridicolo, di eresie, di essere stato eletto Papa con un imbroglio e non dai Cardinali assistiti dallo Spirito Santo. Mentre lo scrittore senese Antonio Socci è arrivato perfino ad attribuirgli il disegno di voler abbattere “la cattedrale bimillenaria della Chiesa cattolica”. Ed è appena stato pubblicato un altro libro (“Il Papa dittatore”) firmato con uno pseudonimo che lo raffigura come “un populista alla Peron”. Ma Francesco è tutt’altro. E lo ha ben spiegato al Venerdì di Repubblica un suo stretto collaboratore, il direttore di “Civiltà Cattolica” padre Antonio Spadaro: <E’ consapevole del suo ruolo: deve fare il Papa e lo fa. Prende le decisioni da solo perché sa che non è l’anello di una catena tutta uguale. Però prima di decidere consulta, forse più di quanto qualcuno ritenga sia opportuno fare. E le sue fonti non sono solo clericali, spesso provengono da altrove. E’ cosciente del rischio di sbagliare e quando accade non esita ad ammetterlo ed a tornare indietro>. I vertici della CEI in queste ultime settimane si sono schierati in modo netto a fianco del “Papa dei poveri” che coerentemente vive in un bilocale a Santa Marta. Dal presidente card. Gualtiero Bassetti, al vicepresidente Mario Meini, autore di una disamina teologica su Corrispondenza, periodico della diocesi fiesolana fondato da monsignor Gastone Simoni; senza dimenticare il presidente della CET card. Giuseppe Betori nell’incontro natalizio con i giornalisti. All’unisono hanno sottolineato che “Bergoglio ci sta spingendo avanti, guidandoci ad una rinnovata conversione culturale e pastorale, improntata al più genuino insegnamento del Vangelo”. E proprio lui il primo a riconoscere che “sono legittime sensibilità diverse e opinioni variegate”. In fondo il confronto dialettico è sempre stato una profonda ricchezza della Chiesa. Allora stiamo attenti alle “fake news”: notizie false. Disinformare, calunniare gli avversari, sporcare la gente, è “il peggior peccato che i media possono commettere”, ha detto il pontefice paragonando la deriva alla malattia. Un avvertimento che vale anche per la Politica italiana, ormai ridotta ad una palude. Lo diciamo pur non considerando esaurita la funzione dei partiti, attesi il 4 marzo ad una prova elettorale piena di incognite.