«Nihil sine Episcopo Romano». La vita del cardinale Pericle Felici

200 283 Andrea Drigani
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radio_vaticanadi Andrea Drigani «Nihil sine Episcopo Romano» («Niente senza il Vescovo di Roma»): questa espressione si ritrova diverse volte nel Diario «conciliare» del cardinale Pericle Felici (1911-1982) uscito di recente per i tipi della Libreria Editrice Vaticana. In effetti la sua esistenza fu vissuta in un fedele e competente servizio a tre papi: San Giovanni XXIII, il Beato Paolo VI e San Giovanni Paolo II. Papa Roncalli gli affidò il compito di Segretario della Commissione Antipreparatoria, poi della Commissione Preparatoria del Concilio Vaticano II, ed infine di Segretario Generale del Concilio stesso. Papa Montini lo mantenne in questo ufficio per nominarlo, al termine dei lavori conciliari, Presidente della Pontificia Commissione per la revisione del Codice di Diritto Canonico. Papa Wojtyła, conscio dell’importanza del nuovo Codex in ordine alla recezione del Vaticano II, lo confermò nell’incarico esprimendogli così piena fiducia e stima. I Romani Pontefici, con i quali Pericle Felici operosamente ed efficacemente collaborò, avevano caratteri e sensibilità diverse, ma la sua dedizione e la sua fiducia nei loro confronti rimasero sempre immutate, consapevole, secondo le parole di Santa Caterina da Siena, che il Papa, ogni Papa, è «il dolce Cristo in terra». Il Diario del cardinale Felici, come è stato già notato, da un notevole contributo alla ricerca storica sul Vaticano II, poiché egli è stato testimone diretto e oculare di fatti e di avvenimenti da lui vissuti, appunto, in prima persona e non per sentito dire. Emerge, innanzitutto, il ruolo fondamentale svolto sia da San Giovanni XXIII che dal Beato Paolo VI in ordine alla guida del Concilio. Papa Roncalli nell’indizione e nella prima sessione, Papa Montini nelle sessioni successive e nella conclusione. Entrambi non esercitarono un’autorità rigidamente monocratica, ma con un altissimo ed autentico «sensus Ecclesiae», procedettero ad ampie consultazioni per acquisire molti pareri prima di decidere. Soprattutto nel Beato Paolo VI c’era la consapevolezza di essere il Capo del Collegio dei Vescovi. «Sono loro che devono consentire con me, non io con loro!», ebbe a dire una volta Papa Montini al cardinale Felici. E un’altra circostanza espresse la volontà «che il Papa non può limitarsi ad approvare o no, alla fine; ma deve in itinere, consigliare e persuadere». Tra le difficoltà incontrate, nello svolgimento delle assisi conciliari, il Diario di Pericle Felici, mette, al primo posto il carrierismo, le gelosie e le invidie, già abbondantemente presenti a quell’epoca, dentro la Curia Romana. Le rivalità scaturite, talvolta, solo da ambizioni personali erano (e sono) un reale ostacolo al proficuo svolgimento dell’attività ecclesiastica, in special modo di un Concilio Ecumenico. Vi erano inoltre delle visioni teologiche di parti avverse e diverse, anche con punte estremistiche, che richiedevano dei necessari interventi per chiarire e precisare. In questa azione, ad un tempo di mediazione e di sicura determinazione, promossa dai Romani Pontefici, il cardinale Pericle Felice dette la sua generosa cooperazione. «Un po’ per carattere – scrive nel Diario – un po’ per formazione, un po’ per ministero esercitato con certi orientamenti, io mi trovo a condividere nella dottrina e nella pratica alcune posizioni, che si è convenuto chiamare tradizionali, pur guardando con serenità, così mi sembra, a delle aperture, che possano migliorare gli spiriti e renderli più adatti alla diffusione del vero e del bene». Dal Diario si evince pure il lavoro quotidiano e indefesso di Felici nelle complesse problematiche conciliari, dimostrando uno studio assiduo, una capacità di ascolto, un rispetto per le opinioni altrui e anche una longanime pazienza, oltrechè, come si è già scritto, un’obbedienza convinta e sincera ai Romani Pontefici. San Giovanni XXIII, il giorno in cui ricevette la nomina a Segretario Generale del Concilio, gli disse: «Tu non sei più di te stesso, ma della Chiesa e delle anime». A questa consegna il cardinale Felici dedicò tutta la sua esistenza sacerdotale ed episcopale dimostrando di essere «homo Dei» (I Tm 6,11). Tra le sue pagine si reperiscono, svariate volte, delle considerazioni sul mistero della morte, in particolare sulla morte improvvisa, propria quella gli toccherà. San Giovanni Paolo II, nell’omelia della Messa esequiale, pronunciata il 25 marzo 1982, osservò: «[“Beati quei servi che il Signore, alla sua venuta, troverà vigilanti” (Lc 1,37)]. Una tale beatitudine che è premessa e garanzia dell’eterna beatitudine in Dio, può essere sicuramente attribuita al cardinale Pericle Felici, non essendo egli né impreparato, né disattento alla voce del Signore. Appena qualche minuto prima dell’improvvisa chiamata, aveva con cuore presago accennato alla partenza da questa terra…e ne aveva preso spunto per dichiarare dinanzi ai fedeli la certezza di trovare in attesa Maria. Era forse un presentimento? Noi non lo sappiamo, ma sappiamo, speriamo e crediamo che, chiudendo gli occhi sulla scena di questo mondo, egli li ha riaperti all’incontro con la Madre celeste e, da lei guidato, con Gesù Salvatore e Signore».

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