Lucrezia Borgia, Vatileaks 2 e l’etica della comunicazione

Ora l’accusa loro rivolta dal Promotore di Giustizia è di aver dato vita ad una sorta di “sodalizio criminale”, sul quale giornali e televisioni stanno evidenziando, oltre allo scambio di accuse e invettive, gli squallidi rapporti tra il prelato spagnolo infedele alla Chiesa e la sventurata Pr assurta ad un ruolo sicuramente troppo più grande di lei. Ingredienti somministrati ad arte, per suscitare quella morbosità che sempre accompagna le questioni ecclesiastiche e che porta spesso ad evocare, per un’invincibile attrazione, le ombre del passato e i peccati del presente, le tentazioni sessuali, l’amore per il denaro e per il potere.

C’era un piano per delegittimare il Pontefice e la sua Riforma contro le “malattie della Curia”? Bergoglio per primo, ammettendo errori nelle nomine, si è espresso in modo a dir poco lapidario e coraggioso: “Rubare quei documenti riservati è un reato, e va punito”. Aggiungendo (con ironia ha perfino richiamato i tempi di Lucrezia Borgia… ) che pure in Vaticano occorre combattere contro la corruzione: l’opera di pulizia e purificazione – iniziata già con Benedetto XVI – quindi proseguirà, e lui stesso non si fermerà di fronte agli ostacoli.

Tirerà dritto, il Papa, nella riforma della Curia. Ma pare non l’abbia ancora capito qualche editorialista anticlericale, cui vengono le orticarie solo a sentir parlare di “morale” e deontologia. Quasi fosse ispirato da Dan Brown, ha accreditato una tesi principale del tutto priva di fondamento: così in un vortice di vendette, ricatti e tradimenti, la libertà di stampa è finita nel gorgo delle peggiori malvagità. Come ha detto monsignor Becciu ed hanno sottolineato autorevoli giuristi (Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte Costituzionale, in alcune interviste, e Carlo Cardia su “Avvenire”) in Vaticano non è invece sotto accusa “la libertà di stampa”, per il semplice motivo che agli interessati si imputa il trafugamento e la rivelazione di documenti riservati. Il reato (non contemplato con la stessa formulazione dall’Ordinamento italiano) è previsto dalla legislazione vaticana dal luglio 2013. L’art. 116 bis punisce infatti chi “ruba” e divulga materiale segreto, mettendo a rischio interessi fondamentali della Santa Sede. Fa perciò scattare, a protezione del Vaticano (già scottato dalle vicende del “Vatileaks 1” ) una tutela rafforzata per interessi considerati vitali. Ed è proprio questa norma che porta Carlo Federico Grosso (ex vice presidente del Csm e docente di diritto penale nell’Università di Torino) ad ammettere che “se i due giornalisti hanno sollecitato inoltro e rilevazione di documenti riservati, potrebbe configurarsi un concorso nel reato contestato a Francesca Chaouqui e mons. Vallejo Balda, anche se è molto difficile da provare”.