Il Natale della Parola tacita ed espressa
Potrebbe essere questa una sintesi di quanto Romano Guardini afferma a proposito di quel “concentrato” teologico, racchiuso nel Prologo di Giovanni, là dove non solo si parla della vita trinitaria, ma anche della relazione fra Dio e creazione: «Tutto è stato fatto per mezzo di Lui e senza di Lui niente è stato fatto di tutto ciò che fu fatto» (Gv 1,3). Questa relazione tra il Padre parlante e il Figlio parlato ha delle implicazioni su tutte le cose create, in quanto – e qui si torna alla valenza del Natale – il rapporto tra Dio e creazione non è solo di origine, dal momento che il secondo scaturisce dal primo, ma tiene conto anche di quel movimento dall’interno e dal di sotto, di cui si è già parlato e di cui il Natale è manifestazione. Ciò significa che tutte le cose conservano in sé il carattere di “parola”, non soltanto perché rimandano al Verbo di Dio, ma anche perché da Lui sono costantemente ed eternamente attraversate.
Questo dinamismo divino investe anche la vita dell’uomo: quest’ultimo, infatti, è capace di parlare, e dunque di dialogare, tanto perché creato a immagine e somiglianza di un Dio che in se stesso è dialogo d’amore, quanto per il fatto di essere inserito all’interno di una realtà che ha in sé, proprio in forza della creazione, il carattere di “parola”. E ciò porta con sé almeno due aspetti essenziali sul versante antropologico: prima di tutto afferma che il dialogo fra le persone trova la ragione d’essere non solo all’interno di un orizzonte trinitario, ma anche all’interno di un piano più “naturale”, in quanto tutto ciò che esiste è impregnato di quella Parola parlata. In secondo luogo viene affermato che la stessa parola è in sé contemporaneamente ritmata dal silenzio e dalla comunicazione.
In questa comprensione il linguaggio tra le persone, scrive ancora Romano Guardini, «non è un sistema di segni d’intesa, mediante i quali due monadi entrino in scambio, ma lo spazio di senso, nel quale vive ogni uomo» (p. 167).