di Alessandro Clemenzia • Il Natale, se ci si pensa bene, sembra essere un evento che raggiunge l’uomo dall’alto, come fosse una discesa di Dio dal cielo per riversarsi nello scorrere del tempo e, in particolare, nella quotidianità anche monotona degli uomini. Questo movimento di discesa è una raffigurazione di quello spogliamento del Verbo di Dio (kenosi) che “carne si è fatto” (Gv 1,14), e che il “Tu scendi dalle stelle” musica e canta. Nell’incarnazione, tuttavia, questo dinamismo che all’occhio umano si manifesta verso il basso, avviene in modo diametralmente opposto: Dio si dà dal basso, come luce che splende e raggiunge l’uomo da sotto la realtà che lo circonda. Non si tratta però soltanto di una luminosità che sfiora appena la realtà attraverso un gioco di chiaroscuro; le cose toccate da quel movimento del darsi di Dio, infatti, vengono quasi ri-plasmate, tanto da arrivare ad assumere una forma che corrisponde pienamente a quella luce che si dà dal di sotto e dall’interno di esse.
Ed è in questo orizzonte di comprensione che Romano Guardini offre un prezioso contributo, quando, nel suo testo Welt und Person (Mondo e Persona, Morcelliana, Brescia 2007), afferma che «le cose sussistono nella forma di ciò che è “verbo”, parola» (p. 169). Quale significato vuole esprimere una tale affermazione? Sulla scia di quanto si è già detto circa il movimento dal basso e dall’interno di Dio, è necessario soffermarsi su un altro elemento: quell’essere che nel Natale si dà, dal di dentro e dal di sotto della realtà, è il Verbo, la Parola. E questo rivela che la comunicazione fa essenzialmente parte della vita divina; scrive Guardini: «Dio è in se stesso parlante, parlato, e farsi conscio dell’eterno discorso d’amore» (p.169). In questa brevissima e sintetica frase è condensata la profondità delle relazioni fra le tre Persone divine, dove il Padre, colui che parla, è totalmente rivolto verso Colui che è parlato; il Figlio, parlato (in quanto Parola), riceve se stesso dal Padre, nell’essere rivolto verso di Lui; e infine lo Spirito Santo garantisce l’intimità della relazione fra Padre e Figlio, rendendola manifesta ed evento.
Potrebbe essere questa una sintesi di quanto Romano Guardini afferma a proposito di quel “concentrato” teologico, racchiuso nel Prologo di Giovanni, là dove non solo si parla della vita trinitaria, ma anche della relazione fra Dio e creazione: «Tutto è stato fatto per mezzo di Lui e senza di Lui niente è stato fatto di tutto ciò che fu fatto» (Gv 1,3). Questa relazione tra il Padre parlante e il Figlio parlato ha delle implicazioni su tutte le cose create, in quanto – e qui si torna alla valenza del Natale – il rapporto tra Dio e creazione non è solo di origine, dal momento che il secondo scaturisce dal primo, ma tiene conto anche di quel movimento dall’interno e dal di sotto, di cui si è già parlato e di cui il Natale è manifestazione. Ciò significa che tutte le cose conservano in sé il carattere di “parola”, non soltanto perché rimandano al Verbo di Dio, ma anche perché da Lui sono costantemente ed eternamente attraversate.
C’è ancora un ultimo aspetto da sottolineare. Il Figlio, costantemente rivolto verso il Padre parlante da cui prende consistenza, è Parola parlata proprio nella misura in cui accoglie Colui che parla; per questo Guardini scrive a proposito di Dio: «Egli esiste come colui che parla rivolto a Colui che è parlato – ed anche, così certo si può aggiungere – Colui che veramente e propriamente ascolta». La Parola dunque ha sì a che fare con il parlare, ma prima ancora con l’ascoltare; potremmo quasi affermare che nella Parola stessa vi è questa duplice dinamica, da un lato, di essere proiettata, nella totale recettività, verso Colui che parla, dall’altro, di essere Colei mediante la quale tutte le cose vengono create. Si tratta, dunque, sia di accogliere in sé l’altro – come possibilità di essere se stesso, in quanto si riceve da lui –, sia di uscire da sé come dono per far sì che l’altro sia. È la Parola stessa, dunque, ad essere simultaneamente tacita ed espressa.
Questo dinamismo divino investe anche la vita dell’uomo: quest’ultimo, infatti, è capace di parlare, e dunque di dialogare, tanto perché creato a immagine e somiglianza di un Dio che in se stesso è dialogo d’amore, quanto per il fatto di essere inserito all’interno di una realtà che ha in sé, proprio in forza della creazione, il carattere di “parola”. E ciò porta con sé almeno due aspetti essenziali sul versante antropologico: prima di tutto afferma che il dialogo fra le persone trova la ragione d’essere non solo all’interno di un orizzonte trinitario, ma anche all’interno di un piano più “naturale”, in quanto tutto ciò che esiste è impregnato di quella Parola parlata. In secondo luogo viene affermato che la stessa parola è in sé contemporaneamente ritmata dal silenzio e dalla comunicazione.
In questa comprensione il linguaggio tra le persone, scrive ancora Romano Guardini, «non è un sistema di segni d’intesa, mediante i quali due monadi entrino in scambio, ma lo spazio di senso, nel quale vive ogni uomo» (p. 167).