Il disarmo: un impegno sempre più urgente per conseguire la pace
di Leonardo Salutati •Nel corso del suo attuale pontificato, Papa Francesco ha denunciato più volte e con insistenza l’immoralità della produzione e del commercio delle armi che fomentano le guerre, dando continuità ad un magistero che, a partire da San Pio X fino all’attuale Pontefice, ha preso posizione netta contro la guerra e, man mano che il problema diveniva sempre più chiaro, ha costantemente segnalato oltre all’immoralità anche i rischi connessi alla produzione, commercio e proliferazione di armi.
Tanto per citare alcuni passaggi, Giovanni XXIII con la Pacem in terris del 1963, avendo ancora vivo il ricordo del dramma della 2° guerra mondiale e della potenza distruttrice delle armi atomiche ha, con estrema chiarezza, sollecitato al disarmo attraverso lo studio approfondito e attento delle modalità per la «ricomposizione pacifica dei rapporti … fondata sulla mutua fiducia, sulla sincerità nelle trattative, sulla fedeltà agli impegni assunti» (PT 63).
Giovanni Paolo II (1985) a tal proposito, ha indicato un possibile itinerario per la riduzione degli armamenti, suggerendo l’attuazione di un «disarmo generale, equilibrato e controllato» degli Stati, sottolineando allo stesso tempo l’urgenza della meta da raggiungere, da contemperare con la prudenza e la gradualità per conseguirla, affinché non si provochi piuttosto la consegna immediata della vittima nelle mani del carnefice.
Il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa afferma esplicitamente che: «Qualsiasi accumulo eccessivo di armi, o il loro commercio generalizzato, non possono essere giustificati moralmente» (n. 508).
Oggi i dati relativi alla spesa militare per gli armamenti sono imponenti (la spesa militare mondiale del 2014 è stimata essere equivalente al 2,3% del PIL mondiale) e non possono non provocare tutti gli Stati ad una riflessione critica sul commercio internazionale di armi e, più in generale, sulla relazione tra disarmo, sviluppo e pace: sia i paesi sviluppati che aumentano la spesa militare senza riguardo dei paesi in via di sviluppo, sia quelli in via di sviluppo che impongono sacrifici enormi ai loro popoli pur di guadagnare potenza e prestigio sul piano militare.