di Francesco Vermigli · Il titolo scelto potrebbe evocare un celebre episodio di un vecchio film di Giuseppe Bertolucci (correva l’anno 1977), con Roberto Benigni nei panni di Cioni Mario: Berlinguer ti voglio bene. È la scena in cui uno stesso personaggio ripete – durante un dibattito sulla “questione femminile” in una Casa del Popolo della Piana pratese – frasi del tipo: “La donna, la donna, la donna… oh l’omo!”. Così si potrebbe dire ugualmente: “arriva il Natale e… la carne la carne la carne, oh l’anima!”. In effetti accostare il sublime inno cristologico del Prologo di Giovanni – e in particolare la sua chiave di volta, il versetto 14 – con un film così bizzarro, potrà sembrare irrispettoso. Ma vogliamo iniziare con questo spunto per parlare di questioni assai complesse, che ci auguriamo però di restituire con una certa chiarezza.
Come ben sa un qualsiasi studente di teologia che si rispetti, nella frase καὶ ὁ λόγος σὰρξ ἐγένετο (“e il Verbo si fece carne”) carne è da intendersi come umanità in genere, nella sua dimensione di creaturalità. E lo sa bene, perché se intendesse dire che è diventato solo carne, diventerebbe un inconsapevole successore degli apollinaristi… e volerebbe fuori, come si dice, all’esame. All’epoca dei concili gli avrebbero dato dell’eretico, che è peggio – a pensarci bene – che essere bocciato ad un esame.
È cosa risaputa tra coloro che discettano di teologia, che Gesù di Nazaret ha una pienezza di umanità (vedi a Calcedonia nel 451) e che la pienezza di umanità implica anche la presenza dell’anima. Anzi, sarà proprio l’esistenza dell’anima a dare la soluzione – circa due secoli dopo – alla questione se Gesù avesse una volontà umana. Massimo il Confessore – e a seguire il concilio di Costantinopoli III (680-681) – fecero un semplice ragionamento consequenziale, una sorta di sillogismo: se Gesù ha l’anima e la volontà è una facoltà dell’anima, allora Gesù avrà una volontà umana.
Asserito con chiarezza che il dogma cristologico implica che Gesù abbia un’anima, perché ha la pienezza dell’umanità, dobbiamo affermare che solitamente il mistero del Natale sposta in una maniera spesso inconsapevole l’accento sulla sola dimensione corporea del Mistero dell’Incarnazione. Tra l’altro… la stessa parola “incarnazione” non potrà che favorire, se intesa in maniera frettolosa, questa lettura del Mistero di Gesù di Nazaret. Diversamente accade per il corrispettivo tedesco (Menschwerdung) che si traduce letteralmente come “divenire uomo”: questo termine sembra meglio resistere ad una lettura solo corporea del Mistero dell’Incarnazione. Eppure, l’aria del Natale, la prassi oratoria e catechetica che si applica alla nascita di Gesù, normalmente scivolano in quella direzione, si diceva. Vogliamo solo dire a questo punto qualcosa sull’anima e sul suo rapporto con il corpo: cosa che forse aiuterà anche a evitare letture riduttive del Natale.
L’anima è – secondo l’antropologia cristiana – il motore del corpo, il principio di vitalità; tanto che, anche nel parlare vulgato, si dice che è “inanimato” un corpo morto. Cioè è inanimato perché è privo di anima e quindi privo di vita… L’anima, tra l’altro, essendo spirituale non appartiene ad un membro del corpo in particolare; ma è nel corpo in ogni luogo e da nessuna parte. L’anima guida il corpo; trovando nel corpo la propria espressione: così intende Rahner quando parla del corpo come simbolo reale dell’anima. Il corpo serve all’anima; sul modello di quello che accade in Cristo dove l’umanità è strumento di espressione della divinità.
L’anima, infine, sopravvive al corpo: dal momento che ha la vita in sé, non ricevendola dal corpo, il corpo può pure morire, ma l’anima non muore mai. Per questo l’anima costituisce il principio più profondo dell’identità dell’uomo: io posso essere la stessa persona che sono sulla terra e dopo la morte senza il corpo, solo in virtù dell’anima. L’anima è dunque il principio di permanenza e di stabilità dell’identità dell’uomo.
Tutte queste considerazioni hanno anche interessanti implicazioni nell’antropologia attuale. Il corpo – essendo al servizio dell’anima ed esprimendola nel mondo – non potrà essere una mera materia a disposizione di una volontà prometeica dell’uomo. Perché potrò anche cambiare il corpo, agire su di esso, “transumanarlo” – secondo un termine che si potrebbe ispirare a Dante, che pure lo intendeva in senso assai diverso – ma l’essenza dell’identità dell’uomo risiede più in profondità, nell’anima. Lì, al centro, c’è però Dio, intimior intimo meo; come direbbe Agostino.
Quando si approssimerà il Natale queste righe potranno sembrare scontate. Ma proviamo a pensare al mistero di quel bambino che nasce in una grotta a Betlemme di Giuda. Proviamo a pensarlo proprio come un bambino, nella sua corporeità, ma anche con un’anima che attende di potersi esprimere in facoltà umane in pienezza: intelletto e volontà, su tutte. Pensiamo a quel bambino come una promessa di un’umanità che si manifesterà in tutte le sue potenzialità nel corso della sua vita pubblica. Che si esprimerà così, per la nostra salvezza.