Cinquanta anni fa «Communio». Teologia, tradizione, modernità

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di Francesco Vermigli · Era il febbraio del 1970 quando su Le Monde – notizia nascosta tra ben altre notizie… su tutte i primi passi del disimpegno militare in Vietnam voluto dalla presidenza Nixon e dal suo consigliere Henry Kissinger – comparve un articolo in cui si leggeva di un incontro a Parigi tra tre teologi di rilevanza assoluta (Hans Urs von Balthasar, Henri de Lubac e Joseph Ratzinger), che avevano manifestato l’idea di fondare una nuova rivista. La notizia proseguiva dicendo che quel progetto sembrava essersi arenato.

Era il 1972, cinquanta anni fa, quando quel progetto alla fine prese corpo. Nacque Communio, rivista internazionale di teologia, che già nel nome porta iscritta un’ispirazione e un desiderio: di unità, di condivisione, di partecipazione. Non possiamo affermarlo con sicurezza, ma sembra che il titolo sia il frutto di un’idea di Eugenio Corecco; insigne canonista, vescovo di Lugano, fondatore della Facoltà Teologica della medesima città della Svizzera italiana. Certamente la scelta in favore del termine communio è però straordinariamente coerente con l’ecclesiologia di de Lubac: quell’ecclesiologia che guarda al mistero della Chiesa a partire dal dono della comunione che le proviene dall’alto. Ai nomi di Balthasar, de Lubac e Ratzinger (e di Corecco…) si devono aggiungere altre figure eminenti della teologia conciliare e postconciliare, che essi vi siano stati fin dalla fondazione della rivista o che vi si siano inseriti nel corso degli anni: i futuri cardinali Walter Kasper, Karl Lehmann, Jorge Arturo Medina Estévez, Marc Ouellet, Christoph Schönborn, Angelo Scola, ma anche l’oratoriano Louis Bouyer, il domenicano Marie-Joseph Le Guillou, il filosofo Jean-Luc Marion. In Italia, poi, la rivista non può che associarsi al nome di Elio Guerriero, che ha animato a lungo l’edizione italiana, ora purtroppo chiusa da alcuni anni.

Già lo spettro dei teologi coinvolti permette di immaginare la consistenza e la densità di una produzione teologica come quella proposta nel corso degli anni da Communio. Vorremmo però presentare i tratti maggiormente riconoscibili della missione di Communio nel panorama generale della teologia a cavallo tra XX e XXI secolo; per provare anche a mostrarne l’utilità per la riflessione teologica anche di oggi.

Non v’è chi non sappia – almeno nell’ambito ci coloro che sono versati negli studi teologici – che Communio nacque esplicitamente in contrasto con Concilium; rivista fondata nel 1965, da teologi del calibro di Karl Rahner, Edward Schillebeeckx, Hans Küng e Johann Baptist Metz. A volerla dir tutta, gli stessi fondatori della nuova rivista Communio erano parte della redazione di Concilium, da cui qualche anno dopo si sarebbero distaccati. La separazione di Ratzinger, de Lubac e Balthasar dalla rivista che portava iscritto nel suo stesso nome il riferimento all’assise conciliare, si deve cercare nel giudizio di quegli stessi teologi, secondo il quale Concilium rischiava di perdersi dietro all’avventurismo intellettuale e alla polemica sociale; ma soprattutto leggevano nella riflessione teologica di Concilium un distacco pericoloso dalla più grande tradizione cristiana. Quel che sia della fondatezza di questo giudizio, possiamo senz’altro dire che quello che riconoscevano come mancante in Concilium, e contra, diventava l’orizzonte programmatico entro il quale muoversi per la nuova rivista.

L’aggancio con la Tradizione (teologica e liturgica, su tutto…), un’attenzione specifica nei confronti dell’ermeneutica della Scrittura, l’apertura critica e mai ingenua alla modernità… questi paiono essere i punti nodali dell’esperienza di Communio. Uno sguardo più attento alla storia del dogma, forse; certamente una tendenza a non farsi coinvolgere nelle dispute ecclesiali venate da provincialismo e da una certa approssimazione, dalla fretta di dire e di posizionarsi. Al contrario, è stato di Communio muoversi nella riflessione teologica nella consapevolezza che la storia della Chiesa e quella del mondo – e dunque anche la storia della teologia – non sono che nelle mani di Colui al cui Mistero si volge l’indagare teologico.

Va detta però una cosa; una cosa che forse solo la distanza temporale rispetto a quelle vicende postconciliari permette di vedere con un certo distacco e una maggiore obiettività. Che proprio la differenza di prospettiva tra la due riviste non dovrà mai essere pensata al di fuori di un principio cattolico fondamentale. Si potrebbe definire anzi esser questo il principio cattolico per eccellenza: che cioè la teologia ha costitutivamente un carattere plurale, perché si rivolge al Mistero santo di Dio che trascende le nostre capacità intellettuali. Vale a dire che il Mistero che indaga la teologia proprio perché trascende le nostre capacità, sopporta nella sua stessa identità che vi siano vie diverse attraverso le quali accostarvisi.

In altri termini, è principio “cattolico” fondamentale che possano coesistere nello stesso agone teologico e Communio e Concilium; perché è principio “cattolico” che possano coesistere e l’antropologia trascendentale di Rahner e il cristocentrismo di Balthasar; la prospettiva “platonizzante” di Ratzinger e quella tomistica (ma di un tomismo rinnovato alla luce della dottrina del soprannaturale) di de Lubac. È questa la vastità e l’autentica misura della cattolicità. Anche in teologia.

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Francesco Vermigli

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